Ammettiamolo, nell’immaginario collettivo (più che nella concreta esperienza di ciascuno di noi) l’estate è la stagione del riposo. Quantomeno per chi lavora e studia. Per dirla in altro modo: esiste un congruo tempo – in particolare tra luglio e agosto – da dedicare alla cura di sé e delle relazioni, quelle che troppo spesso trascuriamo perché incatenati alla ripetitività di gesti e abitudini che rischiano di rendere sempre più arida la vita di tutti i giorni.
In Ac siamo convinti, e non da ora, che una buona vacanza dalla quotidianità ce la meritiamo tutti. Ma siamo anche convinti che sia possibile coniugare “l’esigenza di essere persone autentiche, donne e uomini riconciliati con la vita” con la fatica di essere immersi nella Storia e nelle storie dei nostri contemporanei, donne e uomini che soffrono e lottano, amano e sperano, tutti compagni di viaggio sulla stessa barca che solca perenne i mari di una storia e di un’umanità che ci coinvolgono. Dal pianerottolo di casa sino al più piccolo villaggio del Burundi, il paese più povero del mondo.
È anche per questo che proprio nel cuore dell’estate si collocano molte delle nostre esperienze associative, i nostri campi nazionali, diocesani e parrocchiali, che alimentano – per usare le parole di Vittorio Bachelet – il nostro essere «una realtà di cristiani che si conoscono, si vogliono bene, che lavorano insieme nel nome del Signore, che sono amici». Insomma, se per alcuni (o per molti?) il periodo estivo è vissuto come un periodo “vuoto”, consegnato al galleggiamento un po’ triste della pigrizia e della noia, in Ac si sperimenta il contrario. Questo tempo rappresenta uno spazio intensificato di dono: anzitutto a noi stessi, a quegli spazi e dimensioni della nostra vita che vengono più facilmente rimosse o compresse: dall’incalzare delle emergenze, delle urgenze, degli interessi dominanti che diventano dispotici del nostro tempo e delle nostre risorse di cuore e di mente.
In questo senso il tempo dell’estate diventa, allora – come scriveva l’amato mons. Mansueto Bianchi -, «recupero e compensazione per aspetti della nostra vita che rischiano l’atrofia o la marginalità: essi sono di solito quelli più decisivi, che attengono alla dimensione dell’interiorità, dello spirito, della riflessione e conoscenza di se stessi, dell’intensità delle relazioni con il Signore e con gli altri (prima tra tutti la famiglia, l’amicizia, le persone segnate da solitudine e fragilità)». Per poi invitarci: «Facciamo dono di questo tempo a noi stessi: regaliamoci attenzioni, vogliamoci bene, scendiamo (come il Samaritano) dalla cavalcatura delle nostre frettolosità ed efficientismi per dedicarci a quelle presenze e dimensioni della vita (il Signore, noi stessi, il giro delle nostre affettività, i poveri) che sono spesso lasciate sul margine della strada». Poiché: «Spendersi perché sia generata in pienezza la dimensione umana di una vita ed avanzi il suo cammino verso l’esperienza dell’essere figli del Padre e reciprocamente fratelli è come partecipare alla fatica di Dio, entrare nella Sua scommessa su ogni vita, stringere con Lui l’alleanza della propria ed altrui salvezza». Anche d’estate.
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