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Rapporto Italia: povera, diseguale e invecchiata (ma resiliente) - Azione Cattolica Italiana Arcidiocesi di Palermo

Rapporto Italia: povera, diseguale e invecchiata (ma resiliente)

Mentre l’inflazione cresce e il potere di acquisto delle famiglie cala di giorno in giorno, il Rapporto Istat 2022 (Volume online, Sintesi integrale, Infografiche) fotografa un’Italia in calo demografico, sempre più povera, sempre più vecchia; un paese non per i giovani e dove le famiglie che crescono sono quelle formate da una sola persona. Com’era prevedibile, la pandemia ha amplificato le diseguaglianze esistenti. La povertà assoluta, che era raddoppiata nel 2012 ed è aumentata di un altro milione di persone nel 2020. Se non ci fossero stati il reddito di cittadinanza e il reddito di emergenza avremmo avuto un milione di poveri assoluti in più. Sono aumentati i lavoratori a tempo determinato, part time non volontari e i collaboratori, oggi quasi 5 milioni, soprattutto giovani, donne, lavoratori del mezzogiorno, stranieri. Per non parlare di salari che sono sempre più da fame: sono quattro milioni nel settore privato i lavoratori che non arrivano a 12 euro lordi l’anno.Il PNRR ha portato speranza, la guerra l’ha uccisa, e ancor prima che se ne vedessero i primi frutti. In sintesi, siamo davanti alla radiografia di una crisi economica e sociale appena agli inizi e che rischia di travolgere tutto. Lasciando indietro e senza lavoro un’intera generazione di giovani, distruggendo il già martoriato ceto medio (cioè i padri) e lasciando senza servizi e senza assistenza i nonni. La parola magica è resilienza, ma fino a quando e a che prezzo?

Vediamoli alcuni dati per grandi capitoli, rimandando alla lettura del Rapporto o della sua sintesi (che trovate in basso).

In Italia siamo di meno e siamo più vecchi

Secondo le rilevazioni del Rapporto Annuale Istat, la popolazione italiana continua a diminuire nel 2021, un crollo cominciato nel 2014 e che ancora non si arresta: il primo gennaio 2022 il numero di italiani è di circa 58 milioni 983mila unità, cioè 1 milione 363mila in meno nell’arco di 8 anni. Ma il calo demografico è solo una delle tendenze che si confermano nello scorso anno.

A seguire c’è quella che riguarda l’invecchiamento della popolazione, che prosegue con una longevità sempre più marcata: gli anziani over 65 sono 14 milioni 46mila a inizio 2022, 3 milioni in più rispetto a venti anni fa, un dato pari al 23,8% della popolazione totale. L’indice di vecchiaia (rapporto percentuale tra anziani di 65 anni e più e giovani di età inferiore a 15 anni) è pari a 187,9%, aumentato in vent’anni di oltre 56 punti. Gli over 80 superano i 4,5 milioni, mentre si confermano interessanti anche le rilevazioni che riguardano i centenari: il numero raggiunge le 20mila unità, quadruplicandosi negli ultimi 20 anni. Guardando al prossimo futuro, le previsioni non sono incoraggianti: nel 2042 gli over 65 saranno quasi 19 milioni, il 34% della popolazione.

Crescono le famiglie, ma è solo un illusione statistica

Nonostante il crollo demografico, il numero delle famiglie aumenta: 25,6 milioni nel 2020-2021. L’apparente contraddizione si spiega con il numero medio di componenti del nucleo che scende a 2,3 (da 2,6 del 2000-2001). La maggior parte sono coppie senza figli, mentre aumentano le famiglie costituite da una sola persona, passate dal 24% del totale di inizio millennio al 33,2%.

Anche l’età media a cui si sceglie di avere un figlio si estende. Se nel 1995 il parto veniva effettuato mediamente intorno al 30esimo anno, siamo arrivati a quota 32,2 nel 2020. Il numero medio di bimbi per donna è di 1,24, lo stesso del 2001. La fecondità delle donne straniere si conferma superiore a quella delle italiane, anche se in diminuzione.

A casa con i genitori, non per scelta ma per necessità

Approfondendo il tema dei nuclei familiari, vengono rilevati poco più di 7 milioni di giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono in casa con i genitori (circa il 67,6%), in aumento rispetto al 2010 – periodo di riferimento poiché relativo alla Grande recessione. La situazione più critica è al Sud, dove i giovani in casa con i genitori sono circa il 72% (contro il 63,7% del Nord), e dove ci sono il doppio di ragazzi disoccupati (35%) rispetto al Nord.

L’immigrazione è cambiata, da stranieri a nuovi cittadini

È possibile individuare almeno tre fasi nella storia dell’immigrazione in Italia: un primo periodo di moderata immigrazione, negli anni Settanta e Ottanta, una seconda fase di crescita inattesa e straordinaria, nei due decenni seguenti, per arrivare alla fase più recente caratterizzata dalla crisi economica e dalle emergenze umanitarie, durante la quale flussi di nuovi arrivati in cerca di protezione internazionale si sono aggiunti a una presenza straniera ormai radicata sul territorio e alimentata da flussi prevalentemente per motivi familiari. Durante quest’ultima fase la crescita della presenza straniera è rallentata rispetto al ritmo sostenuto registrato dalla fine degli anni Novanta fino ai primi anni Duemila grazie ai procedimenti di regolarizzazione (in particolare quelli legati alle leggi n. 189 e n. 195 del 20027).

La popolazione straniera in Italia al 1° gennaio 2022 è di 5 milioni e 193 mila e 669 residenti. Nel 2019 ammontava a 4.996.158 e quindi, in tre anni, è aumentata di meno di 200 mila unità. Negli anni precedenti (tra il 2015-2016 e tra il 2016-2017) si era registrata addirittura una lieve diminuzione. Alla base del rallentamento si collocano sia la riduzione dei flussi migratori in arrivo – dovuta anche alla stretta dell’Italia sui decreti per la programmazione degli ingressi – sia l’assenza per lungo tempo di provvedimenti di regolarizzazione che in passato avevano dato luogo ai picchi nella registrazione anagrafica dei migranti.

Più povertà e meno lavoro

Proprio a partire dalla popolazione più giovane emergono dati interessanti anche per quanto riguarda il settore lavorativo e il benessere economico. Il numero di individui in povertà assoluta è quasi triplicato nell’arco di 15 anni, passando da 1,9 milioni nel 2005 a 5,6 milioni (9,4% del totale) nel 2021. Nello stesso arco temporale, tra i più giovani (18-24 anni) le condizioni di indigenza risultano tre volte più frequenti, con l’incidenza che ha raggiunto l’11,1%, valore di quasi quattro volte superiore a quello del 2005, il 3,1%).

Nel settore lavorativo privato risultano quasi 1 milione di dipendenti che percepiscono meno di 8,41 euro all’ora. Il numero sale a 4 milioni di dipendenti – il 29,5% del totale – se si considera solo il limite della bassa retribuzione annua di 12 mila euro. Si tenga inoltre conto che l’analisi non considera l’agricoltura e il lavoro domestico. Le misure di sostegno economico erogate nel 2020, in particolare reddito di cittadinanza e di emergenza, hanno evitato a un milione di individui (circa 500mila famiglie) di trovarsi in condizione di povertà assoluta. L’intensità della povertà, senza sussidi, nel 2020 sarebbe stata di 10 punti percentuali più elevata, raggiungendo il 28,8% (a fronte del 18,7% osservato).
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