I più antichi filosofi greci che si dedicarono, a partire dal VI secolo a.C., alla ricerca del principio (arché) da cui tutto deriva trovarono una grande convergenza nel riconoscere l’originarietà di almeno quattro elementi: il fuoco, l’aria, l’acqua, la terra. Nella filosofia pitagorica, in particolare, questi elementi componevano una sorta di triangolo equilatero, una piramide ideale (Tetraktys), costituita dai quattro livelli corrispondenti. La riflessione filosofica successiva archivierà rapidamente questa ricerca del principio, considerandola – a ragione – troppo naturalistica, bisognosa di essere ulteriormente raffinata in senso spirituale.
Al di là di quelle discussioni filosofiche, che peraltro mantengono un livello di straordinaria attualità, è possibile rileggere il senso della piramide alla luce della crisi prodotta dall’aggressione dell’uomo nei confronti della natura, che sembra inaugurare una nuova era geologica, denominabile Antropocene. Tale aggressione diventa micidialequando intacca le radici profonde, il fondamento originario di quell’universo ordinato che i Greci chiamavano cosmo e che per i cristiani è il riflesso del logos creatore. E poiché i quattro elementi sono essenziali e interdipendenti, basta che uno di essi perda l’equilibrio per destabilizzare l’insieme; figuriamoci se tutti e quattro cominciano a vacillare!
Un piccolo esercizio applicativo, senza pretese di scientificità ma con finalità unicamente esemplificative, può aiutarci a misurare l’entità della crisi che stiamo vivendo; una crisi spesso mascherata dalla mancanza di una visione globale, che ci porta a focalizzarci di volta in volta su fattori parziali, inseguendo questa o quella emergenza e rinunciando a una sintesi.
Mi limito dunque a qualche suggerimento elementare, che non sarà difficile ai miei lettori arricchire. Seguo un ordine diverso da quello tradizionale, provando ad abbinare in questo modo i quattro elementi: fuoco e acqua sono i componenti fondamentali del surriscaldamento del pianeta e della conseguente crisi climatica; aria e terra riassumono bene – ahimè – il sovrapporsi di altre due emergenze globali, rappresentate dalla pandemia da coronavirus e dalla guerra, soprattutto la guerra tra Russia e Ucraina.
Fuoco: è sin troppo facilescorgere oggi nel fenomeno del surriscaldamento globale la radice di uno squilibrio vitale che colpisce al cuore quello che gli antichi consideravano il fondamento, l’unità, la compiutezza del mondo. Gli incendi che devastano aree boschive (e non solo) sempre più estese non sono che la punta di un iceberg, prodotto, in uno sviluppo fuori controllo, da consumismo scriteriato, mobilità nevrotica, bisogno famelico di fonti energetiche inquinanti, persino da un abuso irresponsabile dei computer e della rete.
Acqua: anche questo elemento, in cui nell’antichità si vedeva l’emblema della dinamica generativa della vita, è ormai entrato in sofferenza. In forme opposte, paradossalmente: da un lato, si riducono i ghiacciai fino a collassare su se stessi, i fiumi in secca accelerano la desertificazione, lo spettro del razionamento si aggira sulle nostre vite; da un altro lato, uragani, inondazioni, vere e proprie bombe d’acqua esplodono all’improvviso con la violenza di tempeste tropicali, producendo smottamenti, frane, distruzioni.
Aria: la crisi dell’aria, simbolo e fattore irrinunciabile della respirazione e della vita, oggi si chiama pandemia. Il contagio si trasmette attraverso minuscole goccioline respiratorie, denominate droplet, costringendoci a indossare mascherine, ad aumentare le distanze, a chiuderci in casa. Ma anche l’inquinamento ha cambiato di senso alle nostre abitudini e al modo di esprimerle: una boccata d’aria, che un tempo esprimeva il sollievo di una respirazione pura, oggi sta diventando sinonimo di avvelenamento.
Terra: la materialità solida e vitale che accomuna gli umani oggi soffre non soltanto per i fenomeni climatici ricordati o per un’agricoltura intensiva, avvelenata da pesticidi, ma perché ancora una volta proprio sulla terra si scarica ogni conflitto fra il mio e il tuo. L’emblema di questa crisi è stata e continua ad essere la guerra; la guerra in Ucraina ne rappresenta un esempio drammatico. Nei territori nei quali s’incarna la nostra vita si costruisce la storia e prima ancora la geografia dei popoli. La terra è un grembo naturale, che custodisce minerali preziosi, petrolio e altri fonti energetiche, ma anche un grembo artificiale, in cui si tesse la convivenza, fatta di lingue, culture, religioni diverse. Diciamo la verità: nell’era dei big data, in cui si combatte per il monopolio di beni immateriali, la guerra – quella vera, fatta di fanteria, carri armati e bombardamenti a tappeto – si fa ancora per un pezzo di terra!
Condivido queste dure riflessioni con l’amarezza nel cuore per la crisi politica che in Italia ha segnato la fine del governo Draghi e un’allegra, quasi euforica corsa verso elezioni anticipate. Le questioni alle quali ho appena accennato sono così radicali e drammatiche, da apparire lontane anni luce dall’insipienza di una classe politica che prima non è riuscita ad eleggere un Presidente della Repubblica e ora si è stufata di un premier forse semplicemente competente e “normale”, che però dava troppo fastidio alla mediocrità di retori senza arte né parte.
Le cose stanno così: mentre pendono sulle nostre teste almeno quattro “spade di Damocle”, rispetto alle quali un approccio politico condiviso sarebbe comunque impresa improba, preferiamo dividerci in piccole corti, che promettono il nulla a minuscole corporazioni. Litigare sulle briciole può essere uno sport più divertente, ma il ghiacciaio si sta sciogliendo per tutti, ed è molto improbabile che chi non è responsabile nel poco, sappia esserlo anche nel molto.
Luigi Alici è professore emerito di Filosofia morale. È stato Presidente nazionale dell’Ac dal 2005 al 2008. ll testo proposto è pubblicato sul suo blog, Dialogando.
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