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A trenta giorni - Azione Cattolica Italiana Arcidiocesi di Palermo

A trenta giorni

Ricostruire.

Sul vocabolario Treccani leggiamo “Costruire di nuovo. In alcuni usi, con l’idea del riordinamento, del miglioramento”.

È passato un mese dalla notte tra il 16 ed il 17 maggio, quando per molte delle nostre comunità è cambiata la vita, e certo questo è il momento del ricostruire. Molti territori del nostro Paese sono segnati da questi tragici eventi che hanno cambiato la piccola storia, terremoti e alluvioni tra tutti. Questa volta è toccato a noi.

La “Romagna Solatia dolce paese”, la Terra dell’Accoglienza, il Popolo che sorride.

Certe belle immagini e tanta poesia sono però appesantite dal fango che piega i badili, dalla stanchezza che non dà tregua, dai lavori che non sembrano finire mai, dal rendersi conto che molte cose non saranno come prima, che non si può tornare indietro.

Passata l’adrenalina dell’emergenza, dopo un mese si può provare a tracciare qualche suggestione di quello che stiamo vivendo.

La prima grande impressione è il valore gigantesco di questa esperienza, che ha segnato profondamente decine di migliaia di famiglie, che rimarrà impressa nella mente di tutti e che legherà ricordi di paura, rabbia, impotenza, solitudine, solidarietà, amicizia, vicinanza, disperazione, speranza. E che avrà bisogno di tanto tempo per essere elaborata, sia a livello personale che a livello di comunità.

Quando ormai i riflettori si sono spenti, insieme al fango umido se ne sono andate anche le prime pagine dei giornali e le televisioni nazionali, mentre rimangono al palo le necessità di migliaia di imprese, quel tessuto economico diffuso che costituisce la spina dorsale di un territorio certamente ricco di lavoro e benessere, che si scopre però inadeguato di fronte alla dimensione di quanto è successo.

“È troppo grande quello che ci è capitato. Ce l’abbiamo sempre fatta da soli, ma questa volta se non ci aiutano non ce la possiamo fare”.

È una delle frasi che si sentono spesso, e che aiutano anche a capire come oltre all’effetto distruttivo questa tragedia può avere un grande potere istruttivo.

Capire che da soli non si va da nessuna parte. Che non esiste più un “ambiente locale” e che la sfida dei cambiamenti climatici è appena all’inizio e ci vede piccoli protagonisti.

Che il potere dell’aiutarsi tra vicini e amici è grande, che avere persone che ti vengono ad aiutare senza che tu ne sappia neanche il nome è una cosa che apre il cuore. Più di tante belle Lectio su Carità e Gratitudine. Che ti accorgi di quanti amici in giro per l’Italia hai, di come da gusto fare parte di un’Associazione che soffre con chi soffre e gioisce con chi gioisce.

E che la prossima volta che qualcuno parla di “problema giovanile” non sappiamo se è meglio arrabbiarsi o mettersi a ridere.

Perché quello che abbiamo visto con i nostri occhi è che gli unici che ci hanno capito qualcosa sono loro, che si sono fatti carico non solo del tirarci fuori dalle nostre cantine, ma anche di farci alzare lo sguardo sull’oggi, perché è la leggerezza del non avere troppe scomode certezze, e del non vivere solo di ricordi, che ti può permettere di uscire dalle sabbie mobili in cui ci siamo cacciati.

Questo per molti è stato il mese più lungo ed il mese più corto della nostra vita.

Per noi e per le nostre comunità può essere il mese che ci permette di “costruire di nuovo, con l’idea del miglioramento”. Lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità.
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