D’accordo, c’è stata di mezzo la pandemia. Ma che la pratica religiosa in Italia stia diminuendo ormai da tempo lo si percepisce dalla realtà quotidiana. A certificarlo è arrivata una ricerca dell’Istat: Chiese sempre più vuote in Italia. Nel 2022 è stato toccato il minimo storico con il 18,8 per cento delle persone che vanno a messa almeno una volta a settimana. Solo 1 su 5 va a messa. Restano i funerali e i matrimoni a dettare l’agenda del praticante “tipo”, circa il 31 per centro lo scorso anno, mentre il restante 50 per cento degli italiani frequenta un luogo di culto in modo discontinuo o occasionale.
Così, mettendo a raffronto gli ultimi 20 anni, scopriamo come il numero dei “praticanti regolari” sia quasi dimezzato, passando dal 36% al 19%, mentre i “mai praticanti” sono di fatto raddoppiati (dal 16% al 31%).
Le giovani generazioni sono le più distanti dalla pratica domenicale della messa, passano infatti dal 37 per cento del 2001 al 12 per cento del 2022 (ma c’è sempre la pandemia di mezzo…). Ma va meglio qui da noi che nel resto d’Europa. Soprattutto nei Paesi del Nord Europa ormai la pratica religiosa oscilla tra il 3 e il 7/8 per cento della popolazione.
In Italia, invece, c’è differenza tra nord e sud del Paese: a fronte di una media nazionale del 19%, la frequenza costante ai riti religiosi coinvolge il 23 per cento della popolazione delle regioni meridionali e il 17 per cento nelle regioni del centro-nord Italia. Dato preoccupante riguardo le donne, storicamente quelle che mantenevano una certa vivacità nella pratica religiosa: il numero delle donne che non frequentano la messa ha ormai superato il numero delle donne che invece la frequentano.
Quali riflessioni?
Alcune riflessioni inerenti a questi dati sono già in essere nel variegato mondo cattolico. Il sociologo delle religioni Franco Garelli, elaborando i dati per Settimana News, scrive come «anzitutto emerge che “l’appuntamento settimanale in un luogo di culto, per i cattolici la messa domenicale, attrae sempre di meno gli italiani”, nonostante che il dato sull’affiliazione religiosa si mantenga ancora su livelli elevati».
«Per la componente cattolica – continua – si delinea qui un doppio messaggio alla Chiesa: a essere messo in discussione non è soltanto il precetto o l’invito a santificare le feste, quanto l’idea stessa che la partecipazione al culto comunitario sia per i fedeli (per i seguaci di una religione) un momento fecondo di crescita e di espressione della fede, un criterio vitale di appartenenza a una comunità religiosa».
Vivere la fede sapendo di essere minoranza
I dati dell’Istat ci dicono inoltre quanto da una Chiesa espressione della maggioranza degli italiani, si sia passati a una Chiesa di “minoranza”, a volte presente nei gangli della società, altre volte più nascosta. Una minoranza che crede nell’esperienza delle parrocchie e nel valore del volontariato, spesso perennemente impegnata in un ruolo di supplenza a un welfare che lo Stato non riesce più a mantenere, oppure in un lavoro nascosto di accompagnamento all’educazione delle giovani generazioni e dei più piccoli.
Una minoranza che sconta però alcune difficoltà a innamorarsi alla messa domenicale, a una liturgia che sembra a volte lontana dai bisogni delle giovani generazioni, trascurata dai fedeli durante la pandemia quando abbiamo assistito al fenomeno delle “messe on line”.
Un passaggio epocale
Oggi la pratica religiosa vive un momento di crisi o di “passaggio” epocale, come lo sta vivendo la società più in generale. Trovare le risposte a questo momento di passaggio, o per lo meno alimentare qualche domanda sul “come” procedere, è uno dei nodi cruciali per il cristianesimo di questo millennio.
A ottobre si celebra il Sinodo dei Vescovi sul tema della sinodalità e condivisione. C’è papa Francesco che ogni giorno ci parla, con il suo Magistero, di una Chiesa in uscita. La Chiesa in Italia sta facendo sforzi di ascolto del popolo di Dio per calibrare in modo nuovo gli Orientamenti pastorali per i prossimi anni.
Per il mondo cattolico nella sua poliedricità – laici, gerarchia, associazioni, movimenti, chiese locali – è questo il tempo opportuno per riannodare i fili un po’ sfilacciati del rapporto fede-pratica religiosa.
Ripensare il rapporto con il sacro, e con le forme della sua rappresentazione, significa andare ancora una volta al centro della questione religiosa. Significa tornare al centro della nostra fede. E chiedersi se questa fede abbia bisogno ancora del fuoco dello Spirito che arde nel Tempio.
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