Che Bergamo e Brescia avessero tutte le carte per sostenere il titolo di capitali della cultura 2023 me n’ero già accorto da tempo, avendo la fortuna di abitarvi a due passi. Eppure non mi era mai capitato di sostare senza fretta nella basilica di Santa Maria Maggiore in Città alta. Uno scrigno d’arte e teologia custodito da una millenaria tradizione di fede e devozione. Il tema dell’acqua raffigurato negli affreschi delle pareti, fa di quel tempio la cattedrale del battesimo, porta d’accesso all’esperienza cristiana. La legge dell’acqua costituisce anzitutto coloro che sono incorporati in Cristo, uomini e donne, in popolo di Dio e perciò li rende partecipi nel modo loro proprio della funzione sacerdotale, profetica e regale di Cristo (cf. Can 204).
Ma oggi nessun laico, o chierico, o religioso, attraversa più la basilica di Santa Maria Maggiore senza lasciarsi anzitutto sedurre dal meraviglioso coro ligneo intarsiato. Preziosissima opera, figlia del felice connubio tra l’eleganza espressiva di Lorenzo Lotto e la perizia dell’intarsiatore bergamasco Francesco Capoferri. I due maestri si cercano ripetutamente. La tensione verso la condivisione d’intenti tra mezzi espressivi diversi eppur fedelmente intrecciati diventa la regola. «O così o non si fa niente!». Lo scrivono ripetutamente alla committenza. Non senza sottolineare la difficoltà che questa collaborazione costantemente richiede. Mia (la Misericordia maggiore o Mia, nell’abbreviazione storica che l’ha evidenziata nei secoli e che appare in talune opere d’arte site nella basilica di S. Maria Maggiore, sorse a Bergamo nel 1265 come sodalizio spirituale e caritativo per opera di due domenicani, il vescovo Erbordo e il beato Pinamonte da Brembate), Lotto e Capoferri: tre nomi consegnati alla storia, consapevoli o meno di una vera corresponsabilità.
O così o non si fa niente!
Riflettendo sul metodo di lavoro di Azione cattolica, non posso fare a meno di pensare alle tarsie del Lotto. O così o non si fa niente! Collegi e consigli, tavoli di presidenza ed equipe, laici e chierici, giovani, adulti e ragazzi, uomini e donne, tutto è materiale impiegato nella realizzazione di un unico grande coro intarsiato della Chiesa. Servono «arsenico e vecchi trucchi» suggerisce mastro Capoferri. Spirito e tradizione diremmo noi, con i nostri statuti e documenti magisteriali. Come in ogni lignaria commissura, anche nelle attività di Ac non può mancare la sapienza artigianale di donne e uomini temerari per contornare le piccole tessere di ogni emendamento di tre o quattro millimetri e la fantasia estrosa di innovatori per dare al contempo tridimensionalità, sinuosità, luci e chiaroscuri al Deposito inalterabile della fede.
Nell’officina dell’Ac, prima e dopo la peste del fascismo, è tutto un via vai laborioso di educatori e responsabili, di volontari e dipendenti, di tesserati e collaboratori e di altri bocia. Al Centro nazionale, come in ogni sede più modesta sparsa sul territorio del nostro bel Paese, è bellissimo stare in mezzo ad articoli di giornale e pagine di vangelo, a locandine dei campi estivi e ai programmi dei più svariati convegni, a progetti di promozione e sostegno e a proposte di preghiere e esercizi spirituali. Si respira ogni giorno il profumo della colla che riunisce e si cerca di non restare intossicati dal solvente invisibile che separa. Antico come un vecchio brocardo continua ad avere la sua efficacia il motto che dice: «quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet». Per i bambini dell’Acr potrebbe suonare così: «qualsiasi cosa che riguarda ciascuno di noi, deve essere approfondita e approvata da tutti». In effetti sotto Giustiniano il principio serviva a proteggere una persona sotto tutela. I bambini e le persone più fragili soprattutto.
La bottega artigianale che riguarda l’Ac
La corresponsabilità in Ac non è un tema e nemmeno un metodo: è una bottega artigianale, nella quale tutti, ma proprio tutti, seguendo l’unico disegno, cercano di realizzare l’unico grande intarsio. Esiste per questo la grande squadra del Consiglio nazionale e dei Consigli diocesani.
Prodotto di pialle, carte vetrate e compassi delle sovrane Assemblee diocesane e nazionale. Essi non costituiscono un Collegio, come quello degli Assistenti o dei Revisori e tantomeno un Comitato, come quello degli affari economici. Al loro interno ciascuno ha la stessa posizione di uguaglianza, in ordine alla convocazione, all’attività, ai pareri. Inoltre le decisioni, quando richieste secondo le norme statutarie, possono essere formulate solo in modo collegiale.
Questa dimensione assembleare che tiene uniti i vari livelli di rappresentanza e di singolarità esige di essere tradotta giuridicamente sia in una reciproca consensualità sia nell’adozione di una prassi collegiale di governo in virtù dell’antico principio corporativo per cui l’autorità di un corpo risiede non solo nel capo, ma ugualmente nei membri. Periodicamente eletto, il Consiglio si avvale rispettivamente di una Presidenza, nazionale e diocesana i cui membri, ciascuno a suo modo, promuovono lo sviluppo della vita associativa in costante rapporto di comunione e collaborazione con le comunità ecclesiali, mantenendosi il più possibile attenti allo sviluppo sociale e civile del Paese.
La squadra degli Assistenti…
Il cantiere sarebbe evidentemente sotto organico se non ci fosse la squadra del Collegio assistenti, coloro cioè che insigniti del sacramento dell’Ordine mettono il proprio sacerdozio ministeriale a servizio del sacerdozio di tutti, ricercando uno spirito di autentica fraternità, parola che tutti abbiamo in testa, ma più difficilmente nel cuore. Ogni Assistente, in quanto prete o vescovo, sa di appartenere a un presbiterio per il dono dello Spirito e per l’imposizione delle mani non solo del Vescovo, ma appunto dei confratelli, tuttavia la consapevolezza che questo dono, dato nella fede, deve divenire esperienza vissuta non è da dare per scontata. Da qui nasce l’importanza in Ac di costituire un collegio assistenti, anche se i numeri degli associati in alcune diocesi suggerirebbe scelte più light. Anche questo è corresponsabilità. È partecipare al lavoro nell’unica bottega artistica.
Sfogliando il carteggio del Lotto con le Committenze in terra orobica, colpisce un particolare: nel 1531, all’insaputa dell’artista, si decide di cambiare progetto. Le tarsie istoriate antico testamentarie restano in deposito per circa vent’anni. Il minuzioso lavoro d’intarsio s’impolvera. Si preferisce sposare il gusto del momento. Oggi diremmo populismo. Quell’arte splendidamente ardua viene palesemente abbandonata, dimenticata, sostituita.
Non così in Ac. A pochi mesi dalla conclusione della sua XVIII Assemblea nazionale, essa è orgogliosa e contenta di rivolgere a tutti l’invito a contemplare l’intarsio della corresponsabilità. Vera opera ecclesiale dal valore inestimabile. Sapienza d’arte antica e nuova per chi vuole continuare a comporre nel tempo i disegni dell’Eterno.
*don Michele Martinelli è assistente centrale per il settore Giovani di Ac (l’articolo, per la rubrica “Perché credere” è presente all’interno del numero 3 di Segno nel mondo)
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