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L’autentico dono del “lasciare andare” - Azione Cattolica Italiana Arcidiocesi di Palermo

L’autentico dono del “lasciare andare”

«Un semplice operaio nella vigna del Signore». Così il cardinale Ratzinger si presentò ai fedeli nel giorno della sua elezione a Papa. Nel Mediterraneo la vigna è la coltivazione per eccellenza, su cui si suda e lavora, e si dedica cura e amore. E per questo Gesù la evoca spesso nel Vangelo come simbolo di alleanza tra Dio e l’uomo. Ma che cosa significa oggi essere operai del Signore? Prima di tutto fatica. Secondo impegno.

Non è facile seguire Gesù nella società odierna. Troppe distrazioni, troppi falsi idoli, troppa superficialità. Bisogna rimboccarsi le maniche e cercare alleanze. Prima di tutto in famiglia e poi intorno a noi.

La prima sfida: la vita

La prima sfida che abbiamo davanti, in un contesto di inverno demografico, di natalità bassa, e di modelli che la negano, è quella per la vita. Coltivare la vita in tutte le sue varianti significa proteggerne i primi fragili germogli. Quando i figli sono totalmente dipendenti, quando significano notti insonni, e nessun tempo per sé stessi, quando significano abdicare ai propri desideri. Si impara e diventare meno egoisti mettendo davanti ai propri bisogni quelli di una creatura appena nata. Si cresce insieme a quel piccolo germoglio che ha bisogno di tutto. Bisogna farlo acclimatare e radicare nel terreno prescelto. Stare attenti che fusto e radici non si danneggino. Bisogna legarlo a un tralcio per evitare che cresca storto e poi innaffiarlo, né poco né troppo perché tutto può nuocerle. Infine bisogna guidarlo e vigilare affinché non diventi preda di lumache o uccelli.

Oggi molti rinunciano per motivi economici, per mancanza di aiuto, per sete di carriera. E per paura di un futuro che è sempre meno stabile. Eppure la genitorialità si può coltivare non solo con i figli, ma verso gli altri. Un vicino anziano, un collega in difficoltà, un amico che si è perso. La cura verso il prossimo ci impedisce il peccato di superbia. Di pensarci più avanti e migliori degli altri. 

Il Vangelo ci insegna che il coltivare è anche il lasciare andare

Il Vangelo ci insegna che il coltivare è anche il lasciare andare. «Gesù disse loro: Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini. E subito lasciarono le reti e lo seguirono». 

Oggi abbiamo difficoltà a lasciare andare. Quanti delitti sono figli della mania di controllo? La moglie, il fidanzato, il fratello, sono una proprietà senza la quale ci si sente persi. E allora scatta il ricatto: senza di me o niente. Femminicidi, vendette, aggressioni sul lavoro. Non si crede nel potere della relazione, della libertà altrui, ma nel possesso. Anche materiale. Siamo felici se consumiamo. Se siamo proprietari di beni. Difficilmente lasciamo andare privilegi e beni. Sfruttiamo il pianeta come se fosse di nostra proprietà, non una disponibilità temporanea che ci è stata concessa.

Ecco allora l’autentico dono del “lasciare andare“: gli egoismi, i calcoli, il quieto vivere, è l’unico modo – dice papa Francesco – per seguire Gesù: «prima o poi arriva il momento in cui è necessario lasciare tutto per seguirlo; se non si trova il coraggio di mettersi in cammino, c’è il rischio di restare spettatori della propria esistenza e di vivere la fede a metà». 

Un’altra sfida: la tenerezza

Ci sono poi una serie di qualità che è bene coltivare. Il rispetto per gli altri e per sé stessi, la tenerezza, la speranza. Anche se oggi non va più di moda, regalare un sorriso, una parola, un gesto ci fa sentire vivi. E se ascoltare l’altro non viene naturale bisogna esercitarsi. «Quando l’uomo si sente veramente amato, si sente portato anche ad amare – dice papa Francesco – Se Dio è infinita tenerezza, anche l’uomo, creato a sua immagine, è capace di tenerezza». 

La tenerezza dunque è il primo passo per superare il ripiegamento su sé stessi, per uscire dall’egocentrismo che deturpa la libertà umana. La radice della nostra libertà non è mai autoreferenziale. E ci sentiamo chiamati a riversare nel mondo l’amore ricevuto dal Signore, a declinarlo nella Chiesa, nella famiglia, nella società. 

Sarebbe bello anche coltivare il silenzio. Nel rumore di sottofondo di questa vita frastornata, dal web dai media, dai social tornare a ripiegarsi in sé stessi. Tornare ad ascoltare: Dio, il creato, l’uomo. Un invito ci arriva da Enzo Bianchi: «Il silenzio è il mezzo per entrare dentro sé. Nelle celle dei monaci non ci sono né tv né computer. C’è la solitudine che serve per la vita interiore. Per andare in profondità. La solitudine ti fa conoscere i nostri abissi. Il monachesimo ti fa conoscere l’ateismo. Il nulla che a volte ci abita. Esperire a questi momenti e poi risalire è una grande esperienza». 

E poi c’è il dubbio. Sinonimo di umiltà. «Il dubbio è il principio della ricerca» diceva Cartesio. Solo attraverso il dubbio radicale si può arrivare a una conoscenza certa e indubitabile. 

Coltivare il dubbio significa mettere in discussione le nostre convinzioni e cercare nuove prospettive. Essere aperti al dialogo e al confronto con gli altri. È non aver paura di sbagliare, perché Dio ama anche i nostri errori.

L’autentico dono del “lasciare andare”

Ma coltivare vuol dire soprattutto vincere la paura: «Andate, senza avere paura, per servire – ammonisce il Papa –. Se noi accettiamo l’invito del Signore ad andare verso di lui e a fare esperienza del suo amore che riempie i nostri cuori di gioia, allora non avremo più paura: paura di Dio, paura dell’altro, paura di affrontare le sfide della vita». 

*Vocabolario della fraternità è un dossier pubblicato sull’ultimo numero di Segno nel mondo. Clicca qui per leggerlo in versione integrale
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