Mi presento sono Noemi Coppa, ho 22 anni e sono prossima alla laurea in Scienze della formazione primaria. Mi hanno chiesto di raccontare l’esperienza che mi ha segnato il cuore e penso la vita. Sembrerà esagerato, ma ho scoperto a Gerusalemme che l’hogar cambia davvero la vita. Proprio nel Getsemani Suor Nives, come una mamma, ci ha raccontato di come il Signore ci prepara a vivere quest’esperienza e porta la nostra vita da questi bambini per comprendere fino in fondo le sfide che ci ha messo davanti.
Il mio interesse verso il progetto “Al vedere la stella…” è partito in modo strano, la locandina mi è comparsa un giorno nella mia bacheca di facebook ed è stato strano perché proprio in quel periodo avevo iniziato a pensare alla possibilità di affrontare un viaggio del genere e pensavo che l’unica possibilità sarebbe stata dopo la laurea in posti lontani come l’Africa. La locandina mi ha un attimo spiazzata, ma come spesso facciamo su facebook ho continuato a scorrere ed eccola dopo un po’ era di nuovo lì, mi soffermo un po’ e apro la pagina. La pagina presenta una descrizione dettagliata dell’esperienza e mi inizio a interessare. Immediatamente ne parlo con chi mi era accanto in quel momento, cerco qualcuno disposto a partire con me e dico a i miei genitori che mi piacerebbe partire ad Agosto. Così il 2 Novembre 2017 inizio a informarmi per agosto 2018, agosto è tutto pieno e inizio a pensare che non riuscirò a rientrare perché con l’università l’unico periodo più libero è quello. Ci penso e ripenso e decido di chiedere per settembre, mi impegnerò con lo studio e proverò a dare tutti gli esami in tempo, e settembre sia. Il viaggio è programmato dal 4 al 14 settembre, da novembre a settembre, la durata di un parto, una nuova vita e forse questo è successo. Da novembre la mia vita ha preso mille pieghe diverse, è stata un’altalena infinita di momenti che mi hanno cambiata, disorientata e strapazzata finché non sono salita sull’aereo il 3 settembre 2018 carica di paure. Di paure, tante, tantissime paure. Non vedevo l’ora di partire, ero contentissima di affrontare questo viaggio e poi: PANICO. Come sarà lì? E se non fossi in grado? Se non fossi all’altezza? Se fosse una sfida superiore alle mie forze? Se non fossi abbastanza stabile emotivamente in questo momento per affrontare tutto ciò? Mille paranoie, forse troppe.
Arriva il giorno prima della partenza ed un amico mi scrive una famosa citazione di Enzo Bianchi: “Se fai un viaggio lungo sia leggero il tuo bagaglio: sarai meno stanco e più disposto ad accogliere ciò che ti sarà donato ogni nuovo giorno”. Arriva il giorno della partenza e mi sarei aspettata di tutto ma non quello che sto provando ora, mi sento sola, anche se circondata da gente che mi ama parto sola e sola arrivo a Roma, non perché non fossi amata ma perché ho necessità di essere sola in questo lungo viaggio. A Roma ci ritroviamo i 5 partenti e Don Tony Drazza che ci chiede cosa ci aspettiamo da questo viaggio e ci lascia alcune ultime istruzioni prima della partenza. Siamo 5 ragazzi: Caterina, psicologa, viceresponsabile giovani della diocesi di Messina e membro dell’equipe giovani nazionale; Sara, pediatra, educatrice ACR, vive a Torino ma è nata a Sanremo; Viky, diocesi di Trani, educatrice ACR; e Angelo, viceresponsabile giovani della diocesi di Trani. Ceniamo tutti insieme con Don Tony, Luisa e Michele i vice responsabili nazionali del settore giovani e poi andiamo a letto, ci aspetta una lunga giornata. Il 4 settembre sveglia prestissimo e si parte. Inizia il nostro viaggio, i pensieri sono sempre tantissimi e mi sento strana. Arriviamo a Tel Aviv, vengono a prenderci all’aeroporto e andiamo subito all’hogar dove ci attendono le suore. Arriviamo e siamo subito accolti da Suor Resucitado e salendo troviamo i bambini e le suore ad aspettarci, sono solo una dozzina 4 in carrozzina, 3 distesi a terra e due nel divano, qualcuno più grandetto è dietro, in disparte. Le suore ci dicono di andare a conoscerli e mi sento piccola rispetto loro, sembrano già preparati sono loro a far sentire noi a nostro agio, ci accolgono con sorrisi e sguardi affettuosi pur non sapendo parlarci riescono probabilmente a comunicare più di noi. Subito ci chiedono di farli mangiare ed entriamo nel vivo dell’esperienze. Fare mangiare i bambini non sembra di certo l’attività più bella che chi parte possa immaginare, ma al rientro scoprirete come abbiamo scoperto noi che anche questo vi mancherà, vi mancheranno anche le docce e il cambiarli. Fin dal primo giorno abbiamo notato la bellezza e la santità di questi luoghi, entrando a casa San José subito siamo saliti nel terrazzo che è diventato il luogo in cui pregare, confidarci, scambiarci riflessioni tornando stanchi la sera, quel terrazzo che ricreava in noi l’atmosfera di un bellissimo presepe. Ogni mattina tappa fissa la basilica della natività, l’aria del natale è sempre così viva qui e la preghiera è la base fondante del nostro servizio, a Betlemme riscopro la bellezza del pregare insieme non solo nella stessa stanza, ma sento proprio la dimensione della preghiera comunitaria, so che chi mi sta accanto nella sua preghiera prega per me e io naturalmente prego per noi, sento forte la comunione che spesso non si assapora. Durante la preghiera pomeridiana all’hogar ognuno di noi si trova sempre vicino ad un bambino essendo messi a cerchio, la prima volta io mi trovo accanto ad Eba ed è lei che mi prende immediatamente la mano, questi bambini mostrano ogni giorno nel loro volto il volto di Dio, nella preghiera ma anche nella quotidianità. Le esperienze più significative sono state esperienze di quotidianità come quando cambiando il pannolino a Marcelino l’ho rimproverato dicendo che non avrei più giocato con lui e lui, sentendosi in colpa, con le manine giunte mi ha seguita chiedendo di essere perdonato per poi darmi un bacino quando ha capito che l’avrei perdonato. Un’altra esperienza significativa è stata quando giocando con Wisam tanto era contento di giocare insieme muoveva la testa tanto che mi ha dato una testata nel labbro senza comprendere ciò che era appena successo. Quando al parco ho preso Soraya in braccio per farle fare l’altalena e lei rideva contenta, quando ho cantato a Rahma e lei ballava con me, quando Khader ha festeggiato il compleanno e tutti insieme abbiamo ballato con Mohammed e Sabrina, quando ho dato da mangiare a Rimas sedendola tra le mie gambe, quando abbiamo ballato tutti insieme i balli dell’acr e quando Ramez mi ha presa per mano mentre guardava la televisione. Piccoli momenti che resteranno indelebili nel mio cuore.
Betlemme, Al vedere la stella, l’hogar si può riassumere tutto in:
Preghiera: che ci lega tutti e ci permette di svolgere nel migliore dei modi questo servizio.
Prossimo: a Betlemme sono riuscita a vedere in ogni bambino, nelle suore e in tutti i volontari il volto di Dio vivo e vero, che emana luce e incanta i cuori.
Cuore: perché non è un’esperienza di ragione ma di cuore, è un’esperienza che ti apre e ti arricchisce il cuore ma anche che ha necessità di cuori pronti e preparati ad accogliere.
Difficoltà: i bambini hanno tutti situazioni difficili alle spalle, la difficoltà è la quotidianità è il nostro tentare di approcciarci in modo consono a questi bambini. Però penso la difficoltà più grande la si viva alla fine del servizio quando si deve lasciare Betlemme, l’hogar e i bambini e tornare alla solita vita.
Se siete arrivati a leggere fino a questo punto penso siate molto interessati all’esperienza e quindi non lasciatevi sfuggire la chiamata, il Signore vi chiama come ha chiamato noi, non siate sordi, non pensate di non essere all’altezza perché è Lui che ci dona la forza necessaria, nessuno potrebbe essere mai in grado senza il Suo aiuto. E anch’io oggi vorrei pubblicare quest’articolo che mi è stato chiesto a settembre ma ho deciso di inoltrarlo solo ora a novembre per ricordare l’anniversario da quando ho saputo della partenza e della morte di mio nonno, il primo cambiamento della mia vita dopo aver inviato l’adesione al progetto.
Noemi Coppa