In una Trieste baciata dal sole e dal calore di migliaia di persone che lo aspettavano, papa Francesco è atterrato nella città giuliana per la chiusura della 50ma Settimana sociale. Nel discorso rivolto ai congressisti al Trieste Convention Center nel primo mattino e tutto rivolto all’”appassioniamoci al bene comune”, Francesco ha detto che «possiamo immaginare la crisi della democrazia come un cuore ferito. Ciò che limita la partecipazione è sotto i nostri occhi. Se la corruzione e l’illegalità mostrano un cuore “infartuato”, devono preoccupare anche le diverse forme di esclusione sociale. Ogni volta che qualcuno è emarginato, tutto il corpo sociale soffre. La cultura dello scarto disegna una città dove non c’è posto per i poveri, i nascituri, le persone fragili, i malati, i bambini, le donne, i giovani. Il potere diventa autoreferenziale, incapace di ascolto e di servizio alle persone».
Così la parola stessa “democrazia” non coincide semplicemente con il voto del popolo, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. «E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va “allenata”, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche».
Partecipare
La seconda riflessione di Francesco è un incoraggiamento a partecipare, «affinché la democrazia assomigli a un cuore risanato. E per questo occorre esercitare la creatività. Se ci guardiamo attorno, vediamo tanti segni dell’azione dello Spirito Santo nella vita delle famiglie e delle comunità. Persino nei campi dell’economia, della tecnologia, della politica, della società. Pensiamo a chi ha fatto spazio all’interno di un’attività economica a persone con disabilità; ai lavoratori che hanno rinunciato a un loro diritto per impedire il licenziamento di altri; alle comunità energetiche rinnovabili che promuovono l’ecologia integrale, facendosi carico anche delle famiglie in povertà energetica; agli amministratori che favoriscono la natalità, il lavoro, la scuola, i servizi educativi, le case accessibili, la mobilità per tutti, l’integrazione dei migranti». La fraternità fa fiorire i rapporti sociali; e d’altra parte il prendersi cura gli uni degli altri richiede il coraggio di pensarsi come popolo.
Appassioniamoci al bene comune
Non lasciamoci ingannare dalle soluzioni facili. Appassioniamoci invece al bene comune, dice ad alta voce papa Francesco. «Come cattolici – ribadisce il Papa – in questo orizzonte, non possiamo accontentarci di una fede marginale, o privata. Ciò significa non tanto pretendere di essere ascoltati, ma soprattutto avere il coraggio di fare proposte di giustizia e di pace nel dibattito pubblico. Abbiamo qualcosa da dire, ma non per difendere privilegi. Dobbiamo essere voce che denuncia e che propone in una società spesso afona e dove troppi non hanno voce. Questo è l’amore politico, che non si accontenta di curare gli effetti ma cerca di affrontare le cause».
Organizzare la speranza
Giorgio La Pira aveva pensato al protagonismo delle città, che non hanno il potere di fare le guerre ma che ad esse pagano il prezzo più alto. Così immaginava un sistema di “ponti” tra le città del mondo per creare occasioni di unità e di dialogo. «Sull’esempio di La Pira, non manchi al laicato cattolico italiano questa capacità “organizzare la speranza”: la pace e i progetti di buona politica possono rinascere dal basso. Perché non rilanciare, sostenere e moltiplicare gli sforzi per una formazione sociale e politica che parta dai giovani? Perché non condividere la ricchezza dell’insegnamento sociale della Chiesa?».
L’omelia di Francesco durante la Messa
Lasciato il Centro Congressi “Generali Convention Center” in auto scoperta, il Santo Padre Francesco poi si è trasferito in Piazza Unità d’Italia dove ha presieduta la Santa Messa.
«Posando lo sguardo sulle sfide che ci interpellano – ha detto il Papa – sulle tante problematiche sociali e politiche discusse anche in questa Settimana Sociale, sulla vita concreta della nostra gente e sulle sue fatiche, possiamo dire che oggi abbiamo bisogno proprio di questo: lo scandalo della fede. Non di una religiosità chiusa in sé stessa, che alza lo sguardo fino al cielo senza preoccuparsi di quanto succede sulla terra e celebra liturgie nel tempio dimenticandosi però della polvere che scorre sulle nostre strade». Appassioniamoci al bene comune: è ancora una volta il grido di Francesco.
Lo scandalo della fede
Ci serve, invece, lo scandalo della fede, una fede radicata nel Dio che si è fatto uomo e, «perciò, una fede umana, una fede di carne, che entra nella storia, che accarezza la vita della gente, che risana i cuori spezzati, che diventa lievito di speranza e germe di un mondo nuovo. È una fede che sveglia le coscienze dal torpore, che mette il dito nelle piaghe della società, che suscita domande sul futuro dell’uomo e della storia; è una fede inquieta, che ci aiuta a vincere la mediocrità e l’accidia del cuore, che diventa una spina nella carne di una società spesso anestetizzata e stordita dal consumismo. É, soprattutto, una fede che spiazza i calcoli dell’egoismo umano, che denuncia il male, che punta il dito contro le ingiustizie, che disturba le trame di chi, all’ombra del potere, gioca sulla pelle dei deboli».
Portiamo la profezia del Vangelo
«Da questa città di Trieste – ha concluso il Papa – affacciata sull’Europa, crocevia di popoli e culture, terra di frontiera, alimentiamo il sogno di una nuova civiltà fondata sulla pace e sulla fraternità; non scandalizziamoci di Gesù ma, al contrario, indigniamoci per tutte quelle situazioni in cui la vita viene abbruttita, ferita e uccisa; portiamo la profezia del Vangelo nella nostra carne, con le nostre scelte prima ancora che con le parole. E a questa Chiesa triestina vorrei dire: avanti! Continuate a impegnarvi in prima linea per diffondere il Vangelo della speranza, specialmente verso coloro che arrivano dalla rotta balcanica e verso tutti coloro che, nel corpo o nello spirito, hanno bisogno di essere incoraggiati e consolati».
«Impegniamoci insieme: perché riscoprendoci amati dal Padre possiamo vivere come fratelli tutti».
Il discorso di papa Francesco
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