All’alba e sulla riva del Mare di Tiberiade: il Risorto è lì a guardare i discepoli che, rassegnati, sono tornati alla vita di prima, a pescare, ma senza prendere nulla. Il Signore li invita a gettare le reti dalla parte destra che, subito, si riempiono di 153 grossi pesci. Quel bagnasciuga, calpestato dal Risorto, diventa terra ferma sulla quale Gesù si manifesta vivo, persino nei suoi sentimenti. Che il Signore sia vivo, non solo corporalmente, lo attesta il dialogo che Egli stabilisce con Simone, figlio di Giovanni. Per due volte gli chiede quanto lo ami – “agapào” (cf. Gv 21,15-16) –, mentre la terza, domandandogli se gli voglia bene – “filèo” (cf. Gv 21,17) –, il Risorto non abbassa il livello della sua richiesta ma lo innalza. La risposta di Simone fa appello al Maestro, che «scruta i sentimenti e i pensieri del cuore»: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17).
Questa confessione è complementare a quella pronunciata a Cesarea di Filippo e a Cafarnao; tutte e tre sono contraddistinte dal pronome di seconda persona singolare, ma lo spirito è diverso, come si evince dall’uso dei verbi. «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16), acclama Simone a Cesarea; «Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68), confida Pietro a Cafarnao; «Tu conosci tutto, tu sai che ti voglio bene», rivela Simone a Tiberiade. Pietro, nel suo cammino di fede, passa dal “Tu sei” al “Tu hai” e arriva al “Tu sai”: il “Tu sei” lo rende “roccia”, il “Tu hai” lo conferma nella fede, il “Tu sai” manifesta la sua rinnovata adesione alla missione di “pescatore di uomini”. Una chiamata a cui risponde con franchezza, come dimostra il confronto con il sommo sacerdote, che contesta agli apostoli di aver riempito Gerusalemme del loro insegnamento: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29). A queste parole Pietro aggiunge: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito santo, che Dio ha dato a quelli che gli obbediscono» (At 5,32).
Dio dona il suo Spirito di fortezza e di letizia a quanti non ricusano di «subire oltraggi per il nome di Gesù» (At 5,41), a coloro che confidano nel Signore, affidandosi e consegnandosi a lui solo. Confidare, affidare, consegnare: questa è la sequenza del cammino pasquale compiuto da Simone. Il Pescatore di Galilea insegna che il primo passo del percorso di fede è quello della confidenza: “Tu sei il Cristo”; egli testimonia che il secondo passo dell’itinerario di fede è quello dell’affidamento: “Tu hai parole di vita eterna”; egli lascia intendere che il terzo passo del pellegrinaggio della fede è quello dell’abbandono alla fedeltà di Dio: «Tu conosci tutto, Tu sai che ti voglio bene».
Confidare, affidare, consegnare la vita al Signore: questo è il processo interiore vissuto da Armida Barelli, beatificata ieri nel Duomo di Milano. La sua esperienza di apostolato, in cui ha una centralità decisiva la città di Assisi, da lei definita «patria dell’anima mia», ha segnato il contesto culturale della prima metà del Novecento. La sua personalità viene così delineata da p. Agostino Gemelli, con il quale Armida sviluppa un ininterrotto rapporto di comunione spirituale e di collaborazione operativa: «Era inconfondibile: la freschezza dello spirito, l’ingegno intuitivo e pronto, la capacità di attuare il programma lavorativo stabilito, l’essere sempre con il sorriso e il suo spirito accogliente per tutti, specie per i più umili».
Col cuore gettato oltre ogni ostacolo ha dato vita, con “coraggio virile”, sia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sia alla Gioventù femminile di Ac, a cui era solita raccomandare, come “sorella maggiore”: «Lasciate al Signore la cura del vostro avvenire, preoccupatevi dei suoi grandi interessi». La “regola di vita” di Armida ha questo di particolare: coniugare fiducia in Dio e concreta efficienza organizzativa, favorendo la maturazione di una coscienza libera, capace di confrontarsi con la realtà alla luce della Parola. «La sua esperienza personale – osserva papa Francesco – segna un passaggio decisivo nella visione del laicato: non più una condizione di minorità, ma la scoperta di come quel vissuto laicale, all’interno del popolo di Dio, sia la strada per vivere la santità».
Stare dentro la Chiesa con la passione per le vicende del mondo. Questo è l’insegnamento che la nuova Beata ci trasmette. Alla sua intercessione affidiamo l’anelito espresso da S. Henry Newman, scomparso qualche anno dopo la nascita di Armida: «Voglio un laicato non arrogante, non precipitoso nei discorsi, non polemico, ma uomini che conoscono la propria religione, che in essa vi entrino, che sappiano bene dove si ergono, che sanno cosa credono e cosa non credono, che conoscono il proprio credo così bene da dare conto di esso, che conoscono così bene la storia da poterlo difendere».
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