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Economia e felicità: un binomio possibile - Azione Cattolica Italiana Arcidiocesi di Palermo

Economia e felicità: un binomio possibile

I temi economici saranno il vero banco di prova su cui verranno saggiate la visione d’insieme e la capacità di risolvere i problemi del nuovo Governo che si insedierà dopo le elezioni politiche del 25 settembre prossimo. Non possiamo dimenticare, di sottofondo, le tre emergenze che il presidente Mattarella continua a indicare come realtà concatenate da risolvere per migliorare la vita delle persone: quella sanitaria (la pandemia non è ancora terminata e non sappiamo cosa succederà il prossimo autunno), quella economica (mentre le imprese stavano finalmente riprendendo a pieno regime i loro cicli di produzione dopo gli stop causati dal Covid-19, ecco lo scoppio alle porte dell’Europa della guerra fra Russia e Ucraina con le conseguenze energetiche e geopolitiche in atto sotto gli occhi di tutti), quella sociale (con le persone sotto la soglia di povertà in crescita e l’impossibilità a sostenere i rincari dovuti al caro-energia e all’inflazione tornata a livelli alti, come non succedeva da decenni). In un contesto internazionale particolarmente teso e difficile, l’economia gioca un ruolo centrale e le coalizioni politiche non stanno mostrando responsabilità di fronte alle difficoltà che la popolazione “normale” vive ogni giorno (per leggere gli altri contributi cliccare qui).

Promesse e propaganda

Fin dall’inizio della campagna elettorale i partiti si sono contraddistinti per le promesse roboanti e per le continue proposte al rialzo, come se si trattasse di un’asta, o di una televendita o di qualche programma televisivo per aumentare lo share: dalla flat tax (che porta benefici limitati e costi molto elevati in termini di disuguaglianza e impatto sulle finanze pubbliche) alla patrimoniale per i redditi oltre soglia, agli incentivi per il lavoro femminile, alla proposta di tassare gli extra-profitti, alla reintroduzione del cash-back fiscale, alle modifiche da apportare al reddito di cittadinanza, alla gestione del sistema previdenziale. Ciascuna forza politica sembra non possedere il senso della misura e della realtà: le promesse sono frutto di una “visione corta”, che guarda subito al domani delle elezioni e non immagina invece la società del futuro, quella fra 15/20 anni.

Colpisce, leggendo i programmi, come manchi soprattutto un disegno complessivo di riforma fiscale, che invece servirebbe per rispettare gli impegni del Pnrr e, soprattutto, per garantire una crescita equa e sostenibile, per fare in modo che tutti paghino le imposte dovute. Anche sui temi del lavoro – a parte il salario minimo per legge e il taglio del cuneo fiscale – si fa fatica a intravedere una visione d’insieme e delle proposte efficaci per migliorare la situazione del Paese.

Politica economica e crescita inclusiva

Uno degli obiettivi concreti che una politica economica nuova deve oggi perseguire è quello di un alto e stabile impiego del lavoro. Insieme a questo, una crescita e uno sviluppo sostenibili, secondo gli obiettivi che l’Onu ha fissato da qui al 2030. Crescita e sviluppo devono armonizzarsi con le esigenze e i bisogni della società, con le risorse scarse che il pianeta ci mette a disposizione, con una fase in cui è oggettivamente impossibile poter pensare di continuare a produrre come prima e di non modificare i trend del passato. I cambiamenti climatici e le sciagure di queste settimane sono un monito imprescindibile di cui farsi carico, senza se e senza ma. 

Aristotele diceva che «l’economia è scienza che si dedica al bene umano. Certo esso è desiderabile anche quando riguarda una sola persona; ma è più bello e più divino se riguarda un popolo e la città»; come a dire che la cartina di tornasole per il nostro progresso e il nostro sviluppo non sarà tanto se riusciremo a far crescere nuovamente l’abbondanza di coloro che già hanno troppo, ma piuttosto consisterà nel cercare di sostenere soprattutto coloro che hanno troppo poco per vivere dignitosamente.

Un cambio di paradigma

Dobbiamo chiedere ai nostri rappresentanti che nella prossima legislatura disegnino un’economia che abbia come suo obiettivo più importante quello del bene comune, raggiunto tramite scelte di consumo e di investimento che ben contemperino e affianchino i principi di soddisfazione personale dei bisogni, di solidarietà e responsabilità sociale. Siamo pronti e disponibili a lavorare sapendo che l’epoca dell’espansione incondizionata è giunta al termine e la crescita deve tornare ad allacciarsi nei territori e nelle comunità alla capacità di fare concretamente economia?

Un’economia più civile?

L’economia che ci permetterà di sopravvivere e di vincere le sfide del futuro è quella in cui vige il principio della fraternità. All’indifferenza e all’anonimia dell’approccio capitalistico e liberista, l’economia civile – cfr. Festival dei giorni scorsi: https://www.festivalnazionaleeconomiacivile.it/ – propone la fraternità e la felicità pubblica, la dimensione sociale e relazionale. Accanto alle forme tipiche dello Stato e del mercato, i corpi intermedi possono dar vita ad istituzioni di welfare civile che si diffondono sul territorio e a forme di democrazia deliberativa che consentono di ascoltare e promuovere la partecipazione dei cittadini. L’economia civile, contrariamente all’attuale paradigma che crea scarti e disuguaglianze, ha la capacità di integrare sempre più persone all’interno del sistema economico, combattendo la solitudine, le crisi e le povertà. La via d’uscita che – speriamo governanti illuminati sappiamo cercare – va nella direzione di un allargamento di tutte quelle forme di organizzazione economica che la società civile è in grado di esprimere in una cornice precisa di regole, se lasciata libera di farlo.

Nuovo ruolo per lo Stato 

Pertanto, oltre ad uno Stato che coadiuvi e sostenga la ripresa, occorre mettere al lavoro le forze migliori della società, facendo in modo che anche soggetti quali imprese sociali, cooperative, ong, fondazioni costituiscano una nuova infrastruttura economica. Utilizzando una felice definizione, si tratta di sostenere e far nascere uno stato limitato (ma che interviene anche in maniera forte in certi ambiti) e nello stesso tempo abilitante, che sappia promuovere e incoraggiare tutte quelle forme di azione collettiva che hanno effetti pubblici attraverso la promozione di assetti istituzionali che facilitino la nascita e la crescita dei corpi intermedi, secondo quanto indicato dalla nostra Costituzione (cfr. https://www.nexteconomia.org/appello-societa-civile/) 

*Alberto Ratti, giornalista pubblicista, è responsabile del personale presso il Collegio Villoresi San Giuseppe di Monza e Merate (scuola paritaria della diocesi di Milano); è stato dirigente nazionale della Fuci e del Meic.
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