di Silvia Luraschi con Andrea di Martino
Care e cari studentesse e studenti,
vi ho pensato in questi giorni.
Sono passati ventitré anni dalla mia maturità, ma ogni anno quando arriva giugno è impossibile non pensarci. Ripenso alla me di allora che, andando all’esame in motorino, non riusciva a tenere dritto il manubrio per quanto tremava dalla paura. Con questa sensazione in mente, provo a mettermi nei panni di voi che vi trovate ad affrontare quell’esperienza.
Immaginandovi mentre leggete, mi piace condividere l’idea che quella che state attraversando è una esperienza che vi rimarrà nel cuore con tutta la sua complessità, specie per chi, come la me di allora, nella scuola superiore ha faticato parecchio, e ci è arrivata decisamente impreparata.
Con il senno di poi, la maturità mi è stata utile per imparare che posso affrontare le avversità della vita anche se non mi sento pronta a farlo e ho tanta, tanta paura. In quei giorni tremai, ma non ci fu solo questo. Mi sono divertita con i miei compagni e le mie compagne di classe tra una prova e l’altra perché arrivare alla fine era il traguardo e pazienza per i voti bassi. Nei venti anni successivi avrei capito che i voti non descrivono chi sono o quello che so fare.
In questi giorni ho dialogato con un caro amico che è impegnato nel ruolo di presidente di commissione per avere un po’ il polso della situazione su come state voi. Andrea (Di Martino) si è reso disponibile a condividere con me e con voi il suo ricordo della maturità.
Andrea ci scrive:
“Il ricordo che conservo dell’esame di maturità, fatto quaranta anni fa, è tuttora vivido. Forse per via del fatto che mi sentivo già “vecchio” poiché respinto in classe prima, forse perché l’ho affrontato pieno di attese in quanto ero “quello più bravo a fare i temi” in una ragioneria.
Ricordo di avere portato come libro scelto – s’usava fare così – La coscienza di Zeno in una vecchia edizione di Dall’Oglio Editore che ho gelosamente conservato.
Non posso dimenticare il cuore in tumulto, l’ansia crescente, la sensazione netta di valicare la soglia oltre la quale mi avrebbe atteso la vita adulta. […]
Terminati gli studi universitari ho da subito iniziato a lavorare come docente in scuole medie superiori e da qualche parte ho la foto della prima quinta classe affidatami: io in giacca e cravatta, in mezzo a un gruppetto di futuri odontotecnici. Sembravo ancora uno di loro, pochi i capelli bianchi.
Negli anni di insegnamento, ora più di trenta, mi è capitato molte volte di partecipare agli esami di stato in qualità di membro interno o esterno e, a partire dal 2016, in qualità di presidente di commissione.
L’emozione che vedo riflessa negli occhi degli studenti che incontro è la stessa che agitava i miei, la bocca dello stomaco chiusa è stata la mia. Credo fermamente che un “bravo” docente non debba mai dimenticare di essere stato studente, pena la caduta nell’autoreferenzialità, nella celebrazione del proprio ego per mezzo dei contenuti che si propinano all’interno delle aule.
Però, in tutta sincerità, ho notato negli ultimi anni un cambiamento di prospettiva che desta la mia preoccupazione.
Ha a che fare con il sentimento del mondo che “fuori attende” il maturato. Un mondo che nell’arco di qualche decennio ha tramutato le promesse in miraggi, che ha gettato ombre lunghe sull’impegno a vantaggio della logica aberrante del “tutto subito e soprattutto facile”.
Ergo mi trovo costretto ad aggiungere ad ansia e cuore in tumulto anche la sensazione dello smarrimento che interpella le nuove generazioni.
Che puntualmente viene fuori quando, in conclusione dell’esame di stato, chiedo al candidato: “progetti per il futuro?”.
Molti rispondono: “mi prendo un anno di pausa e vado a lavorare all’estero”, altri dicono “cerco un lavoro”. Sempre meno quelli che hanno voglia di investire negli studi universitari.
Ascolto e taccio e mentre ascolto penso al titolo di una commedia di De Filippo: gli esami non finiscono mai.
Questo è il loro primo, quello che poi ricorderanno per tutta la vita e dentro questa prova c’è veramente tanto.
C’è il sentimento della dipartita da un luogo caro per cinque interminabili anni, c’è la paura del futuro, c’è l’impegno profuso per affrontare l’esame al meglio delle proprie possibilità.
Vorrei chiudere esprimendo un augurio rivolto a chi sosterrà l’esame quest’anno e negli anni a venire.
Mi piacerebbe che non fosse ricordata unicamente la “strizza” ma anche la soddisfazione che si prova quando si verificano gli apprendimenti e soprattutto la netta sensazione che lo studio altro non è che un sinonimo di conoscenza, senza la quale non si dà al pensiero critico la possibilità di affinarsi nell’incontro con il mondo, di gran lunga più ricco, vivace e problematico del nostro piccolo ego smisurato alle prese col canto delle sirene che in cambio di anima offrono “cose”.”
Mi unisco all’augurio di Andrea, rivolgendomi in particolare a chi sta arrancando perché parteggio per voi (!), presto sarà tutto un solo ricordo che a volte tornerà anche nei sogni…
La vita è grande e regala sorprese. Lasciatevi meravigliare!
Un abbraccio e lunga vita al lupo,
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