Nel viaggio che in questi giorni papa Francesco sta compiendo in Asia (il più lungo del pontificato, dodici giorni tra Indonesia, Papua Nuova Guinea, Timor Est e Singapore), non c’è solo il desiderio pastorale del papa ottantasettenne di essere missionario nel mondo portando la croce, avendo avanti a sé gli acciacchi dell’età e i vari problemi fisici che lo seguono da molto tempo – il viaggio in Asia e Oceania era previsto nel 2020 ma fu rimandato per la pandemia; è considerato il completamento di altri viaggi già fatti in passato in Corea, Sri Lanka, Filippine, Myanmar, Bangladesh, Thailandia, Giappone, Kazakistan e Mongolia –. In realtà dietro l’aspetto puramente pastorale, il nocciolo di questo lungo viaggio è principalmente il dialogo tra cristianesimo e Islam.
Il tunnel dell’amicizia
L’Indonesia è il paese con più persone musulmane al mondo: circa otto milioni, meno del 3 per cento della popolazione, sono cattoliche, mentre circa l’87 per cento, ovvero 242 milioni di persone, è musulmano. Quando Francesco ha percorso il tunnel dell’amicizia che collega la cattedrale di Santa Maria Assunta, a Giacarta, alla moschea Istiqlal, la più grande del Sud Est asiatico, ha segnato con un semplice gesto una delle idee cardine del suo pontificato: solo il dialogo tra le religioni può percorrere la via della pace.
Ma non è l’unico motivo. Francesco parlerà anche di cambiamenti climatici e di innalzamento degli oceani, del progresso economico, di auto alla povertà, dell’accoglienza dei migranti. Il viaggio nel Sud Est asiatico, che si concluderà a Singapore, dove tre quarti della popolazione è di etnia cinese, racchiude inoltre il vecchio e mai abbandonato sogno di Francesco di visitare quanto prima la Cina.
Islam e Cina
L’Islam, e insieme la Cina, sono le due galassie di un mondo che cammina oltre la “guerra fredda” e che muove la geopolitica in modo veloce. Con questi due mondi bisogna fare i conti. E Francesco intende aiutare questo processo. E così, il fatto che di fronte alla moschea Istiqlal a Giacarta si sia tenuto l’incontro interreligioso con la firma della Dichiarazione congiunta di Istiqlal da parte dell’imam Nasaruddin Umar e del Papa, diventa un gesto che va oltre le buone consuetudini diplomatiche per tenere uniti insieme, invece, diplomazia, geopolitica e visioni sul futuro del mondo.
Il tunnel dell’amicizia è un segno eloquente, per papa Francesco, «che permette a questi due grandi luoghi di culto di essere non soltanto l’uno “di fronte” all’altro, ma anche l’uno “collegato” all’altro. Questo passaggio infatti permette un incontro, un dialogo, una reale possibilità di “scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di incontrarci, […] di partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinaggio”».
Parole semplici ma dirette, quelle dette da Bergoglio: «Vi incoraggio a proseguire su questa strada: che tutti, tutti insieme, ciascuno coltivando la propria spiritualità e praticando la propria religione, possiamo camminare alla ricerca di Dio e contribuire a costruire società aperte, fondate sul rispetto reciproco e sull’amore vicendevole, capaci di isolare le rigidità, i fondamentalismi e gli estremismi, che sono sempre pericolosi e mai giustificabili».
La Dichiarazione congiunta di Istiqlal
La Dichiarazione indica dunque quali sono le risposte che le religioni, attraverso un impegno comune, possono dare a queste gravi crisi del nostro tempo. Il Papa e il Grande Imam esortano a orientare i valori religiosi «alla promozione di una cultura di rispetto, dignità, compassione, riconciliazione e solidarietà fraterna per superare sia la disumanizzazione, sia la distruzione ambientale». Un compito particolare, si legge nel documento, spetta ai responsabili religiosi che devono collaborare per il bene dell’umanità.
Parole e gesti che guardano oltre. Oltre la cortina fumogena di un mondo in fibrillazione che ancora si ostina a credere nella guerra come risoluzione delle controversie internazionali. Dialogo e rispetto tra le nazioni e i popoli portano invece alla pace.
Cari fratelli e sorelle, conclude il Papa nell’incontro alla Moschea, «promuovere l’armonia religiosa per il bene dell’umanità è l’ispirazione che siamo chiamati a seguire e che dà anche il titolo alla Dichiarazione congiunta preparata per questa occasione. In essa assumiamo con responsabilità le gravi e talvolta drammatiche crisi che minacciano il futuro dell’umanità, in particolare le guerre e i conflitti, purtroppo alimentati anche dalle strumentalizzazioni religiose, ma anche la crisi ambientale, diventata un ostacolo per la crescita e la convivenza dei popoli. E davanti a questo scenario, è importante che i valori comuni a tutte le tradizioni religiose siano promossi e rafforzati, aiutando la società a “sconfiggere la cultura della violenza e dell’indifferenza” (Dichiarazione congiunta di Istiqlal) e a promuovere la riconciliazione e la pace».
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