Cracovia-Kiev: dieci ore di viaggio in pullman, sotto una pioggia battente. Un lasso di tempo abbastanza lungo che ti porta a riflettere, ancora una volta, alle ragioni del viaggio appena iniziato. E alla speranza che da questo deriva. Partiti dalla capitale polacca abbiamo attraversato da est a ovest l’Ucraina, più di 800 km alla volta di Kiev, facendo tappa prima a Medyka e poi a Leopoli. Un lungo itinerario che ci ha permesso di osservare dal finestrino, graffiato dalla pioggia, la condizione attuale di un Paese che tenta di reagire e sopravvivere, giorno dopo giorno, all’aggressione russa. Kiev, il viaggio e la speranza.
L’Azione cattolica con il Mean
Come in ogni viaggio, le ore condivise in pullman si sono rivelate essere una garanzia per conoscerci e fare gruppo. Dopotutto la delegazione del Mean (Movimento europeo di azione nonviolenta) è formata da 35 sigle, tra cui l’Azione cattolica italiana, oltre 50 attivisti provenienti da tutta Italia che non conoscono la biografia del proprio vicino di seduta, ma solo le ragioni e i valori che li hanno resi compagni di viaggio.
Alle porte della capitale ucraina aumenta la presenza dei posti di blocco militari e di pari passo l’eredità del conflitto si fa sempre più evidente. Sempre più evidenti le case trivellate da colpi d’arma da fuoco, le montagne di macerie affiancate da auto carbonizzate. Dei molti stabilimenti industriali non è rimasto quasi nulla, a parte i piloni d’acciaio che ne costituivano lo scheletro, sciolti dal calore delle bombe.
10 luglio: l’arrivo a Kiev
L’esperienza promossa dal Mean entra nel vivo con l’arrivo a Kiev, dove siamo stati accolti da una delegazione ucraina formata da esponenti della società civile e attivisti impegnati in attività di assistenza umanitaria. Assieme a loro abbiamo preso parte a un incontro online, partecipato da migliaia di italiani collegati da decine di piazze sparse per tutta la Penisola. Un abbraccio virtuale al popolo ucraino, un momento comunitario arricchito da interventi e discorsi di solidarietà, pace e speranza. Tre concetti che costituiscono le ragioni per le quali questo viaggio è stato organizzato e promosso.
… la prima notte a Kiev con il suono delle sirene anti-missile
Salutata la delegazione ucraina, obbligata a rispettare gli orari del coprifuoco nazionale, i momenti della nostra prima notte a Kiev sono stati poi dettati dal suono delle sirene anti-missile, che ci hanno obbligati a passare un paio d’ore nelle sale sotterranee dell’albergo in cui eravamo ospiti. Dopo i primi attimi, segnati da un naturale spaesamento, la lunga attesa ci ha permesso di comprendere e concepire, in piccola parte, la difficile condizione a cui gli ucraini sono soggiogati da mesi. Una condizione alimentata dalla costante convivenza con il rischio e dalla difficoltà di accettare il dubbio sul proprio domani. Anche questo costituisce l’aspro prezzo di un conflitto.
11 luglio: la manifestazione di pace
Come da programma, il giorno seguente, lunedì 11 luglio, è andata in scena la manifestazione di pace, organizzata con la collaborazione delle istituzioni locali. Nel giorno in cui si celebra il patrono d’Europa, san Benedetto, e si ricorda il massacro di Srebrenica. Ospitati presso il Municipio della città ci siamo raccolti nella sala del Consiglio alla presenza di Vitali Klitschko, sindaco di Kiev, e monsignor Visvaldas Kulbokas, Nunzio apostolico. Nei discorsi di benvenuto, che hanno inaugurato la manifestazione, le autorità civili e religiose si sono spesso appellate ai valori europei. Gli stessi valori che compongono l’eredità di San Benedetto, messaggero di pace, fonte d’ispirazione ancora attuale per un’Europa sfigurata dalla guerra.
Il desiderio espresso dalle voci ucraine che si sono alternate al microfono è quello di poter vivere in un’Europa unita e solidale, capace di garantire la pace tra i popoli. Tra ucraini è forte la consapevolezza che questo conflitto possa durare ancora per molto tempo, addirittura anni. Nonostante questo, l’associazionismo ucraino non ha intenzione di arrestare la propria marcia, il proprio impegno nel costruire un futuro di pace.
Tommaso Cappelli a Kiev
Siamo tutti ucraini, siamo tutti europei
La nostra presenza fisica, la scelta di mobilitarsi e vivere con il proprio corpo un luogo di sofferenza e conflitto, ci ha permesso di portare un concreto messaggio di pace e solidarietà, rispondendo a una richiesta di aiuto.
Lo slogan della marcia We are all Ukrainians. We are all Europeans (Siamo tutti ucraini, siamo tutti europei) riafferma la nostra volontà di condividere, per quanto possibile, le ferite e i desideri di un popolo ferito da soprusi e violenze.
Saliamo sulle spalle dei giganti
Questi giorni in Ucraina non dovevano rappresentare il palcoscenico dei nostri ragionamenti. Non siamo partiti con l’aspettativa o la pretesa di insegnare qualcosa, ma per ascoltare.
Ascoltare e pensare alla pace che, a oggi, significa avere un’idea di futuro desiderabile. Un futuro garantito da un’Europa dei cittadini, dei popoli e non dei nazionalismi. Un’Europa coraggiosa e capace di reagire anche con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano. Come sottolineato nel decalogo del Mean, è ora per noi di salire sulle spalle dei giganti
*Tommaso Cappelli, 24 anni, autore dell’articolo, che ha partecipato per conto dell’Azione cattolica italiana alla manifestazione di pace a Kiev, racconta la sua esperienza in questa intervista a Radio1 andata in onda lunedì 11 luglio. Ascolta qui
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