C’è una frase di Emily Dickinson ad accogliere chiunque capiti al cimitero di Lampedusa: «Per uno sconosciuto, gli sconosciuti non piangono». In un grassetto che salta all’occhio, fa da incipit a una stele che il Forum Lampedusa Solidale – un’assemblea pubblica sorta nel 2015 per affermare la dignità di chi è accolto e di chi accoglie – ha voluto apporre per ricordare che in quel posto «hanno trovato sepoltura un numero imprecisato di donne e uomini morti nel tentativo di raggiungere l’Europa attraversando il Mar Mediterraneo». La memoria contro l’indifferenza.
Donne e uomini “che hanno vissuto”, che “hanno gioito e sofferto”, sperato e lottato, che sono stati attese e attesi, cercate e cercati. Ma per i quali, troppo spesso, noi che abbiamo il solo “merito” di vivere nella parte “giusta” del mondo, non piangiamo, o comunque non piangiamo più.
«Per uno sconosciuto, gli sconosciuti non piangono»
Del resto, è difficile piangere per qualcuno di cui neppure si conosce il nome, di cui non è possibile ricostruire una storia, il cui corpo – al netto di violenza e torture – poco o nulla riesce a raccontare, una volta restituito dal mare.
Il rischio, così, è quello di confonderlo fino a farlo scomparire tra le migliaia di “sconosciuti” che perdono la vita nelle acque del Mediterraneo, ormai diventato – come spesso sottolinea papa Francesco – «il più grande cimitero d’Europa».
Per questo, diventa fondamentale ricordare. Dietro ai numeri sempre impressionanti di morti e dispersi, ai quali ci siamo evidentemente abituati, ci sono le storie di padri, madri, figli, fratelli e sorelle, amici, che non torneranno più a casa, senza neppure la certezza di una tomba e di un nome.
3 ottobre: la Giornata del ricordo
Da dieci anni a questa parte, per la comunità di Lampedusa e non solo, il 3 ottobre è la giornata del ricordo (istituzionalizzata dal Parlamento italiano nel 2016) che, in memoria di quella che ancora oggi è la più grande strage del Mediterraneo, vuole commemorare tutte le vittime delle migrazioni e promuovere iniziative di sensibilizzazione sui temi dell’accoglienza e della solidarietà.
Il 3 ottobre 2013, a largo dell’isola di Lampedusa, in un naufragio senza precedenti, persero la vita 368 persone, bambini, donne e uomini di origine per lo più eritrea ed etiope. È ancora impressa nella mente di molti l’immagine delle centinaia di corpi sul Molo Favaloro o della distesa infinita di bare nell’hangar dell’aeroporto dell’isola. Eppure, a distanza di un decennio, nulla è cambiato.
Da quel 3 ottobre ad oggi oltre 28 mila rifugiati e migranti sono morti o risultano dispersi nel mar Mediterraneo. Il Mediterraneo continua a essere luogo di morte, a fronte di una politica securitaria dell’accoglienza e della gestione delle frontiere che mai come negli ultimi tempi invita a interrogarsi sulla necessità di un cambio di prospettiva, narrativo, politico e normativo, che possa guardare non all’emergenza dei numeri, non al “problema” delle migrazioni, ma ai diritti e alla vita di ciascun migrante e di ciascuna persona.
Passare dai numeri alla vita
Occorrerebbe (e in fretta!) passare dai numeri alla vita! Per immedesimarsi nella sofferenza di chi non ce l’ha fatta e non correre il rischio di non indignarsi più, di smettere di piangere per chi, per la sola colpa di sognare un futuro lontano da guerra e persecuzioni, ha visto e sta vedendo calpestati i propri diritti e la propria dignità.
Come dieci anni fa, anche oggi a Lampedusa la memoria vuole essere l’arma più forte contro l’indifferenza. Uomini, donne, giovani, studenti e studentesse di tutta Italia e del mondo, assieme ai sopravvissuti del naufragio del 3 ottobre che ogni anno tornano sull’isola per raccontare la loro testimonianza, hanno marciato fino alla Porta d’Europa chiedendo di fermare le stragi. Nella preghiera ecumenica di questa sera ricorderanno la vita di Welela che, a soli diciotto anni, è stata data in pasto al mare, ustionata, dopo aver subito violenze e abusi, quella di Yassin, arrestato e torturato solo perché voleva raggiungere sua moglie e suo figlio, e di tutti i migranti che nel Mediterraneo hanno trovato la morte.
Dinnanzi al Santuario della Madonna di Porto Salvo, sottolineeranno così l’imprescindibilità di conoscere, informarsi, ricostruire storie e ridarvi un nome, per non smettere di piangere “per gli sconosciuti” e pretendere un decisivo cambio di rotta nella gestione delle migrazioni, sotto l’egida di un’Europa più forte, unita e solidale che sappia porre fine alla politica di finanziamento dei respingimenti alle frontiere e garantire canali di accesso legali e sicuri.
*Martina Sardo è vicepresidente diocesana del settore Giovani Ac di Agrigento
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