Che il tempo intercorso dall’annuncio della Beatificazione di Armida Barelli alla sua celebrazione sia coinciso con l’avvio del Cammino sinodale delle Chiese in Italia e con la fase nazionale del Sinodo universale dei Vescovi sulla sinodalità è sicuramente una coincidenza curiosa, e l’ampiezza della devozione popolare rilanciata con la sua beatificazione ci sollecita rispetto al desiderio di un nuovo riconoscimento della presenza e del ruolo delle donne nella Chiesa.
Armida Barelli, che dal 30 aprile chiamiamo “beata”, fu una donna laica profondamente radicata nelle vicende della Chiesa e nella società del suo tempo. Grande motivatrice e “sorella maggiore”, fu ispiratrice di un impegno trasversale all’interno della Chiesa, capace di intessere legami e di progettare iniziative concrete per rispondere alle sfide del suo tempo, in piena collaborazione con la gerarchia ecclesiale. La sua eredità è portatrice di molteplici significati, che intercettano bisogni estremamente attuali.
Armida, insomma, incarna con la sua vita, le sue opere e con la sua testimonianza la sinodalità come stile della testimonianza, per cui oggi la Chiesa italiana e universale ha deciso di mettersi in cammino. L’impegno ecclesiale di cui la beata milanese è esempio, fondato su un’organizzazione capillare e ben strutturata, è stato catalizzatore di grandi trasformazioni sul piano sociale, a partire dall’impatto che ebbe la formazione delle giovani donne che passava in primis attraverso le attività di due tra le realtà che la videro protagonista, la Gioventù femminile di Azione Cattolica e dell’Università Cattolica. Un movimento femminile, quello a cui la Barelli diede vita, che contribuì alla consapevolezza di un nuovo ruolo delle donne nella Chiesa e nella società.
Oggi, quello che i movimenti femministi nelle piazze di tutto il mondo chiedono non è solo la parità tra i sessi, ma un cambio radicale di prospettiva sul modo di concepire l’economia e la società. Un mondo più aperto, inclusivo, partecipato, per tutte e tutti. Se la politica in senso lato è sotto i riflettori, l’eco di queste riflessioni si percepisce anche nella Chiesa, già stimolata al suo interno da laiche e laici che nutrono molte aspettative verso il cambiamento reale che questo tempo di Sinodo riuscirà a produrre, anche rispetto a una maggiore inclusione della donna. Richieste di accoglienza e inclusione che non possono rimanere inascoltate. In questo senso, le aperture di Papa Francesco – si pensi alla notizia del Ministero del Lettorato e dell’Accolitato alle donne, oppure al recente annuncio delle prossime nomine di donne per il Dicastero per i Vescovi – destano speranze, in primis tra i giovani, e non solo all’interno della Chiesa.
Questi passi in avanti si scontrano, tuttavia, con una realtà che è fatta di molte resistenze. Il Sinodo, in quanto processo in cui tutta la Chiesa mette in discussione se stessa e le proprie pratiche, è visto dagli occhi esterni come il momento in cui “possono cambiare le cose”, e quanto emergerà finalmente al termine del percorso sinodale dovrà fare anche i conti con questo genere di attese. Seppur non direttamente messo a tema dal percorso sinodale, il maggiore coinvolgimento delle donne nelle istituzioni ecclesiali – a qualunque livello – sta ritornando non solo tra i desiderata, ma proprio come una svolta necessaria su cui si gioca il futuro della Chiesa. Il timore diffuso è che queste attese rimangano deluse, ma è forte la speranza che il bisogno e la necessità storica di una maggiore partecipazione delle donne (religiose e laiche) nelle strutture ecclesiali siano convertiti in scelte politiche e istituzionali. È questo il tempo.
Articolo pubblicato sul blog di rivistadialoghi.it, sito della rivista «Dialoghi», trimestrale culturale promosso dall’Ac. Emanuela Gitto è Vicepresidente nazionale Ac per il settore Giovani
Le parole del Sinodo: Autorità
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