Che si segua Nietzche, o si segua Victor Hugo, il risultato è lo stesso: l’assenza di orizzonti è la radice di una stratificazione di problemi personali, comunitari, economici, politici, culturali. Ed ecclesiali, anche. Si può usare ogni forma di artificio retorico per esaltare la “vita alla giornata” o l’“avventura senza meta”, ma come dar torto al filosofo tedesco quando assume che senza una prospettiva dinanzi agli occhi l’animo umano diventa inevitabilmente inquieto, di quell’inquietudine che può approdare ovunque, ma anche nel nulla? Con quali argomenti contraddire lo scrittore francese quando asserisce che «i vasti orizzonti generano le idee complesse, i piccoli orizzonti le idee ristrette»?
Non si tratta di tornare a un maldestro “dirigismo esistenziale”, o peggio a una visione assistenzialistica della vita per cui una qualche entità pubblica dovrebbe mettere una qualsiasi mangiatoia dinanzi alle persone perché non abbiano ad aizzarsi contro il sistema. Non è questo il senso delle preoccupazioni di Nietzche e Hugo, no di certo. È, piuttosto, il vanificare talenti e doni perché si è rinunciato – o individualmente o dal punto di vista socio-comunitario – a individuare un fine più largo per cui vivere, e soprattutto un fine condiviso con altri, utopisticamente – ma non troppo – con l’umanità tutta intera.
La pace, ad esempio. La promozione dei più deboli, ad esempio. L’educazione e la formazione umana delle nuove generazioni. Il riequilibrio delle opportunità, un altro esempio ancora. Qualcosa di grande per cui vivere e per cui vivere insieme, che già si staglia dinanzi agli occhi perché altre generazioni vi hanno lavorato. Non un fine da reinventare, ma una costruzione da proseguire.
Se l’orizzonte non si vede?
Si potrà obiettare: se l’orizzonte non si vede, è proprio perché qualcuno, prima, non ha iniziato l’opera e non ha lasciato gli strumenti. In realtà, le cose stanno diversamente. La storia parla. Se l’orizzonte non lo si vede, in questo tempo, è perché l’opera culturale dei distruttori, dei divisori, è oggi particolarmente efficace. Cancellazione della memoria, ridicolizzazione dei valori con tanto di assalto al “buonismo”, legittimazione dell’indifferenza e dell’individualismo come scelta “dovuta” per “difendersi dal mondo”.
Il lavoro, prima, c’è stato. Solo che era meno forte, prima, la sfacciataggine di chi lo considerava un lavoro inutile.
Stiamo alla politica… qualcosa di grande per cui vivere insieme
Come si fa a dire, in presenza della Costituzione, che un orizzonte per cui spendersi non esiste? L’ultima Settimana sociale di Trieste, una delle più vivaci degli ultimi lustri, da questo punto di vista ha lanciato un messaggio forte: nel nostro Paese gran parte dei diritti sociali previsti dalla Carta non sono realizzati per una moltitudine di concittadini. Non è questo un orizzonte già esistente, verso cui incamminarsi insieme? Realizzare il diritto alla salute, all’istruzione, al lavoro di milioni di italiani, di giovani, di bambini, di anziani. L’orizzonte c’è, se non lo si vede è perché i distruttori-divisori stanno lavorando bene, meglio di noi. Con grande efficacia stanno persuadendo in tanti dell’inutilità di uno sforzo condiviso per il bene comune, stanno relegando in uno scantinato minoritario la parola chiave della convivenza civile – la solidarietà –, stanno giocando d’astuzia con quell’altra parola, “realismo”, che in un corpo sano dovrebbe suscitare una reazione, in un corpo indebolito suscita rassegnazione.
L’orizzonte della sinodalità
Anche dal punto di vista ecclesiale, dire che un orizzonte non ci sia significa aver già ceduto a una sorta di contropropaganda. Il Concilio Vaticano II è lì che ancora in larga parte attende una potente attuazione, soprattutto sul protagonismo dei laici. E proprio la strada per rinnovare il percorso conciliare, il cammino sinodale invocato da papa Francesco, è oggi orizzonte nitido contro cui si scaglia un fronte trasversale di distruttori e divisori, anche in questo caso con le armi della rimozione e della ridicolizzazione, al fine di cadere in un vuoto in cui “individualismi ben organizzati” possono spadroneggiare e “dettare la linea”.
Cosa propone chi intende distruggere gli orizzonti che sono stati sinora costruiti?
Ciò che dovremmo chiederci è questo: cosa propone chi intende distruggere gli orizzonti che faticosamente sono stati sinora costruiti o chi vorrebbe indebolire l’orizzonte europeo? Cosa propone chi mette in discussione la Costituzione repubblicana nei suoi assetti più profondi e sostanziali? Cosa propone chi dice Concilio e Sinodalità non riguardano i tempi che viviamo? Ancora una volta la risposta la dà la storia. I divisori, i distruttori, non hanno mai costruito nulla. Hanno solo lasciato macerie. E in qualche modo proprio la grande storia dell’Azione cattolica, nel suo piccolo o nel suo grande, è un esempio di questo discorso. Essa è un insieme cammino e un orizzonte per tanti. Eppure non sono mancate, in epoche più o meno recenti, chi ne ha precipitosamente decretato la “fine”, indebolendola non poco. Per “sostituirla” con cosa? A mio avviso, ma a ragione veduta, per ciò che si vede dove non c’è, con un fragoroso nulla, con qualche esasperante individualismo, con un nugolo di improvvisazioni.
E allora per concludere: gli orizzonti sono un lavoro di ricerca. Nel futuro, di lettura dei tempi. Ma anche nel passato, da cui raccogliere eredità corpose, serie. Di certo una ricerca cui non possiamo rinunciare. Perché l’alternativa è una lunga serie di salti nel buio. Anche sociali, politici, economici ed ecclesiali.
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