Nel 1989, quando venne giù il Muro di Berlino, pensammo che in qualche misura anche i concetti di confini e frontiere dovessero poter assumere un significato diverso. E ciò che rimaneva della “Cortina di Ferro”, che divideva e spaventava, potesse essere rimossa anche come concetto nelle menti delle persone. Pensammo si potesse concepire una nuova fratellanza e unità nei popoli, rimuovendo l’assolutezza della divisione tra bianco o nero, buono o cattivo. Invece sono bastati solo pochi anni e ci siamo ritrovati più divisi, convinti del fatto che nuovi muri e nuove frontiere siano inevitabili per proteggere civiltà.
C’è chi ha teorizzato addirittura i benefici di uno “scontro di civiltà” per la nascita di un nuovo ordine mondiale. Le frontiere si sono subito riorganizzate diventano così recinti per identità, religioni, lingue, tradizioni. Da quando Samuel P. Huntington pubblicò su Foreign Affairs nel 1993 il suo saggio sullo “scontro di civiltà”, sullo scenario del nuovo ordine mondiale sono apparsi nazionalismi e sovranismi che, dall’inizio del nuovo Millennio, si sono via via rafforzati e organizzati. Così a 35 anni dalla caduta del Muro di Berlino le politiche della recinzione nella sola Europa hanno caratterizzato buona parte dell’elaborazione delle politiche estere degli Stati.
Il numero delle barriere è aumentato
Secondo una ricerca dell’Europarlamento il numero di barriere alle frontiere dell’Unione è passato rapidamente dopo l’Ottantanove da zero a diciannove, con 12 Paesi ad averle erette. Ma l’elenco è in continuo aggiornamento e solo tra il 2014 e il 2022 il totale dei chilometri di muri e filo spinato, spesso elettrificato, è passato da 315 a quasi 2 mila chilometri. Proteggono identità e ondate di neo-tribalismo che generano conflitti, favoriscono intolleranza e razzismo. Trasformano le nazioni in fortezze, proteggendo privilegi e potere, negando diritti umani in nome della sicurezza percepita. L’elenco solo in Europa è lungo. Servono a contenere migranti e con il conflitto tra Mosca e Kiev hanno riproposto la logica del Muro di Berlino nell’ambito del nuovo confronto tra Est e Ovest sul piano politico e militare.
Quei muri che dividono il mondo… anche vicino casa nostra
La Lettonia ha costruito decine di chilometri di protezioni verso la Russia e la Bielorussia, la Lituania oltre 500 chilometri verso la Russia. L’Ungheria verso la Croazia e la Serbia. Perfino la Norvegia ha blindato 200 metri di confine con Mosca e la Spagna ha costruito alte barriere di ferro per tenere i migranti fuori dalle enclave di Ceuta e Melilla in Marocco. Sono solo alcuni esempi e poi c’è il resto del mondo dove la mentalità della fortezza trova sempre nuovi estimatori. Tim Marshall, per trent’anni corrispondente dall’estero della Bbc e collaboratore dei principali quotidiani inglesi dal Times al Guardian, ha raccolto in un lungo libro-reportage (I muri che dividono il mondo, Garzanti) le storie di Paesi divisi e di un mondo mai così a brandelli. Tuttavia la sua analisi alla fine si tiene lontana dal pessimismo: «Anche se ai giorni nostri il nazionalismo e le politiche identitarie sono ancora una volta in ascesa, il pendolo della storia potrebbe tornare a oscillare in direzione dell’unità».
Ragionare sui confini fisici e sulle frontiere culturali che spezzano e non mettono in relazione, come invece dovrebbe accadere, oggi potrebbe sembrare operazione disperata, poiché le geopolitiche dell’esclusione – come vengono definite dagli esperti di diritto internazionale – appaiono essere quasi le uniche praticate da molti Stati e accettate dalle coscienze di una parte consistenze dell’umanità.
Confini e frontiere
Confini e frontiere sono due termini spesso usati come sinonimi, ingenerando confusione. Il confine è una linea con porte che si aprono e si chiudono. L’apertura o la chiusura dei confini, la libera circolazione di uomini e merci, dipende dal concetto di frontiera. Questa non è necessariamente una barriera fisica, ma di solito ha natura giuridica, culturale, religiosa. Le frontiere sono frutto di scelte politiche e sociali che possono cambiare sulla base degli umori della storia e delle convenienze.
I confini interni dell’Europa sono quasi tutti spariti con gli Accordi di Schengen, ma non così le frontiere che restano come aree di separazione culturale e a volte ideologica, come hanno per anni sottolineato i Paesi del cosiddetto “Gruppo di Visegrad”. Il superamento delle frontiere ha bisogno della costruzione di ponti per avvicinare popoli, tradizioni e mentalità, per segnare un punto dove le identità si incontrano e si riflettono le une nelle altre per migliorare la vita di tutti.
I ponti collegano e facilitano, i ponti mutano abitudini. Ma oggi c’è chi si indigna di fronte ai cambiamenti che i ponti provocano e preferisce abbatterli. Così la gestione della governance globale e quel nuovo ordine immaginato dopo la caduta del Muro di Berlino, rischia seriamente di cadere nel caos di relazioni sempre meno multipolari e sempre meno orientate a ricomporre divisioni.
L’Europa…
L’esempio dell’Europa è indicativo. Oggi si ricreano confini e si strutturano nuove frontiere, nonostante la creazione dell’Unione europea abbia rappresentato un’evoluzione significativa nell’interpretazione degli stessi confini naturali, non più fissi e soprattutto non più necessari. Avere scelto come capitale della cultura europea per il prossimo anno la città di Gorizia, divisa dalla Nova Gorica ex-Jugoslavia e segnata dall’ultimo muro d’Europa, abbattuto simbolicamente dopo quello di Berlino, anche in seguito alla tragedia dei Balcani, rappresenta una prospettiva di alto valore simbolico con lo sguardo rivolto al futuro. Sul cosiddetto “confine orientale” si è spesso affermata l’incompatibilità tra popoli, rafforzate identità contrapposte, negate le une e le altre per esaltare differenze.
La vera sfida è scoprire cosa si nasconde dietro… quei muri che dividono il mondo
Oggi la sfida è scoprire cosa si nasconde dietro le linee che dividono i popoli e dietro le barriere culturali cioè le frontiere di classe, di genere, quelle giuridiche, religiose, insomma dietro tutte le emergenze che alimentano identitarismo settario. E bisogna rendersi conto che, invece, confini e frontiere possono aiutare a comprendere chi è diverso, senza escluderlo, considerandolo fratello, mischiandosi insieme, contaminandosi ognuno nella storia dell’altro. Come ha scritto Zygmund Baumann, le frontiere sono a volte campi di battaglia ma sono anche: «workshop creativi dell’arte del vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmente o meno) i semi di forme future di umanità».
*Vocabolario della fraternità è un dossier pubblicato sull’ultimo numero di Segno nel mondo. Clicca qui per leggerlo in versione integrale
The post Quei muri che dividono il mondo appeared first on Azione Cattolica Italiana.
Source: New feed