In prossimità della festa della Repubblica, il pensiero non può che correre al biennio 1945/46, a quei mesi così intensi e drammatici, contraddistinti dalla fine del secondo conflitto mondiale e da una libertà finalmente riconquistata da parte del popolo italiano dopo vent’anni di dittatura totalitaria e disumanizzante. Sceglievamo una nuova forma di Stato e di governo, sceglievamo di scrivere una nuova Costituzione un nuovo patto sociale fra cittadini. Sceglievamo anche con chi allearci, aderivamo al Patto Atlantico e all’ONU, costruivamo il primo nucleo dell’Unione Europea.
Nel momento in cui l’Europa ha conosciuto il periodo più cupo e angosciante della sua storia, proprio allora ha saputo risollevarsi e ricostruirsi sia spiritualmente che materialmente. Ha potuto farlo grazie a donne e uomini che si sono rimboccati le maniche e che in maniera disinteressata, nonostante le provenienze e le culture politiche diverse (cattolicesimo, socialismo, comunismo, liberalismo), hanno deciso di spendersi per il bene di tutti e per lo sviluppo umano delle proprie nazioni di appartenenza, in Italia come all’estero.
Quel crocevia storico è stato il punto di partenza di un lungo periodo di pace e di progresso per il nostro Paese e per l’Europa intera che, come vediamo dalle immagini di guerra di questi mesi, non possiamo più dare per scontato. Richiamare oggi quei momenti e fare memoria di quella classe dirigente significa guardare con gratitudine e riconoscenza a quanti ci hanno testimoniato, allora e nei decenni successivi, il senso e la bellezza del fare politica, “dell’occuparsi della cosa pubblica” con lo scopo di migliorare le condizioni morali e materiali delle persone.
La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene che si conquista ogni giorno, un bene delicato, fragile, che va custodito e alimentato attraverso la responsabilità di tutti. «La democrazia – ha scritto Tina Anselmi – non è solo libere elezioni, non è solo progresso economico. È giustizia, è rispetto della dignità umana, dei diritti delle donne. È tranquillità per i vecchi e speranza per i figli. È pace». Queste caratteristiche – oggi spesso dileggiate e disprezzate anche da molti intellettuali – il nostro Paese e l’Europa le hanno vissute per più di un cinquantennio, grazie ad una politica che era davvero lungimirante e che ha saputo incarnare il meglio delle qualità, dei sogni e delle aspettative di un popolo.
Nelle crisi sistemiche che stanno attraversando tutta Europa, invece, si annidano e tornano a vivere i miti dell’antidemocrazia, camuffati da parole come “patria, sicurezza, sovranismo, tradizione” e purtroppo anche da alcuni riferimenti religiosi. La violenza e la paura, il razzismo e l’affermarsi di concetti disumani stanno tornando a radicarsi sempre più nella nostra società occidentale; emerge, allora, quanto più urgente e fondamentale il nostro compito di annunciare e difendere la libertà e la democrazia, il «più perfetto ma anche il più difficile sistema di autogoverno» (A. De Gasperi) che l’uomo abbia inventato. Il termine “crisi” ha già etimologicamente dentro di sé il tema dell’opportunità e del riscatto. Le crisi non possono e non devono essere eventi apocalittici fini a se stessi; servono per ritrovare la strada che si era perduta, per lasciare indietro il superfluo, trattenere l’indispensabile, trasformare e trasformarsi. Torna fondamentale, quindi, parlare di mediazione e di politica; quest’ultima è e rimane ancora oggi lo strumento più alto e nobile di cui gli uomini concretamente dispongono per tracciare il loro cammino nella storia e nel mondo.
Per un cristiano, poi, si tratta di trovare un equilibrio non facile, ma necessario, fra fede e storia, fra azione cattolica e azione politica. La concezione cristiana della vita e della storia, infatti, ha un suo pathos, è un modo di essere e di vivere che non potrà mai ridursi ad una mera tecnica di esercizio del potere. Se non curiamo anche fra di noi il tema della formazione ai valori della democrazia è inutile pensare che un albero senza cure possa dare frutti.Guardando indietro, a coloro che ci hanno preceduto e hanno testimoniato coerentemente la propria fede nell’uomo e nella sua dignità più profonda – penso tra gli altri ad Aldo Moro – possiamo trarre ispirazione anche per il futuro e per il tratto di strada che siamo chiamati a percorrere, ri-sostanziando sia la parola democrazia che la parola politica; entrambe, infatti, accompagneranno gli uomini e le donne fino al termine dei propri giorni.
La politica è riempire di senso il presente guardando oltre, verso il futuro e verso le generazioni che nasceranno. È l’impegno di ogni giorno che chiama a vivere la propria vita senza pensare di essere soli, senza pensare che le proprie azioni non influiscano sugli altri: siamo tutti collegati come fossimo un’unica persona. Dobbiamo riappropriarci della politica, ridarle senso e significato, impastare con essa le nostre esistenze, sognando cose grandi per costruire una civiltà dove la dignità dell’essere umano sia sempre rispettata e riconosciuta in ogni suo stadio e forma. Una civiltà più umana e quindi più libera. Una civiltà di pace e di amore.
La festa della Repubblica di quest’anno, vista la guerra e quanto sta accadendo in Ucraina, ci invita a fermarci e a riflettere, a ragionare e discutere insieme sul senso del nostro stare assieme e sulle scelte strategiche effettuate allora: abbiamo cominciato a elaborare una «forma essenziale e fondamentale di solidarietà umana» (A. Moro), che richiede l’impegno libero e costante di ogni cittadino perché possa progredire e migliorare sia in libertà che in giustizia.Festeggiare oggi la Repubblica significa ricordarsi della stella polare indicataci da coloro che hanno scelto e dato la propria vita per noi: pur divisi dalle idee, dalle provenienze e dalle scelte politiche, dobbiamo ricordarci di essere membri della medesima comunità – umana innanzitutto – e di lavorare per la pace, il progresso e la felicità di tutti gli uomini e di tutte le donne del nostro tempo.
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