Proseguiamo il nostro itinerario riflessivo sulla fraternità. Proviamo a concentrarci sulla sua connessione con la dinamica della missione. Una comunità credente, un gruppo parrocchiale sono destinati ad alimentare la fede e, nel contempo, ad aprirsi per confessare la fede, per condividerla nella gratuità e nella coerenza di vita. Non solo, “uscendo” per portare l’annuncio, sono tenuti ad avere l’intelligenza e l’umiltà di imparare dagli altri, da tutti gli altri, nominalmente anche dai non credenti, poiché lo Spirito del Risorto agisce con libertà nel distribuire i suoi doni. Un cuore aperto al mondo intero (l’articolo continua la rubrica “Perché credere” presente nel nuovo numero di Segno nel mondo; è possibile scaricarlo in pdf al seguente link)
Ricordo come da giovane prete mi fu chiesto di cimentarmi in una piccola fraternità presbiterale, che aveva il compito di abbozzare operativamente una forma di condivisione abitativa e di cooperazione pastorale. Il sogno fallì ancor prima di essere implementato. Non ci fu la cattiveria di qualcuno in particolare. La fragilità dell’operazione stava nel suo essere – all’epoca – orchestrata in termini direttivi e verticistici, pur animati dalle migliori intenzioni. Poveri superiori! Ciò che mi colpì fu l’entusiasmo delle comunità parrocchiali alle quali questa piccola cellula fraterna doveva essere d’aiuto. Erano commosse, comprendevano che già il fatto di procedere “aggregati” e non “in solitaria” profumava di Vangelo, possedeva una marcia misteriosa in più, si avvicinava all’ideale (vedi anche il blog di don Fabrizio De Toni – assistente centrale per il settore Adulti di Ac e del Mlac – e la pagina del settore Adulti di Ac)
La prassi fraterna dell’annuncio del Vangelo
Scusandomi per l’incipit autobiografico, sarebbe cosa buona essere il più possibile oggettivi e meno ripiegati sui propri personalissimi vissuti, mi riprendo immediatamente evocando la prassi fraterna di annuncio dell’evangelo riscontrabile nelle pagine del Nuovo Testamento. Bastano degli accenni. «Il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi» (Lc 10,1). Si apprezzi come l’intero gruppo dei settantadue viene ingaggiato dallo stesso Gesù in una sorta di missione sperimentale. Un gruppo estroflesso – dunque –, non intruppato e autoreferenziale all’interno di una bolla o comfort zone attorno al Cristo. Estroflesso e missionario anche nella sua forma, essendo gli interessati inviati non singolarmente, ma in coppia, a “due a due”, sinodali, cooperativi. Non vi è nessun intento settario e aggressivo: «Andate: vi mando come agnelli in mezzo a lupi» (Lc 10,3). L’operazione è animata dalla sola, gioiosa e gratuita volontà di annunciare la paternità tenera del Padre: «Dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”» (Lc 10,9). I riferimenti si sprecano. Mi piace qui evocare una celebre coppia che, in Atti degli Apostoli, si muove almeno inizialmente con forte complicità e libertà: Barnaba e Paolo: «Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo trovò e lo condusse ad Antiochia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente» (At 11,25-26). La missione fraterna domanda condivisione di obiettivi, dialogo nella fede, superamento di rivalità, risultando in tal modo di impatto maggiore poiché tra i due emerge – al meglio – un Terzo, o un Altro, per il quale vengono spese volentieri le energie. Allargando lo sguardo, il capitolo quarto dell’enciclica Fratelli Tutti – magistero datato 2020 – riporta un titolo che sulle prime potrebbe essere inteso in termini riduttivi, esclusivamente ecclesiali: «Un cuore aperto al mondo intero». In realtà ci si indirizza alle comunità umane nazionali, anch’esse forme di fraternità, sollecitandole a essere porose, interconnesse in modo intraprendente e intelligente. Sono invitate ad aprirsi all’inclusività e all’integrazione di fronte alla sfida dell’emigrazione; a superare preconcetti e barriere culturali, uscendo da ottiche localistiche, nazionalistiche, sovraniste e difensive; a far circolare in uno scenario di fraternità universale il patrimonio umanistico e tecnico dell’Occidente e il patrimonio contemplativo e immaginifico dell’Oriente; a immaginare un nuovo ordine mondiale non disegnato dall’equilibrio politico e militare delle forze in campo – sempre precario e a svantaggio dei più deboli –, ma dal bene della pace, dalla costruzione di un’umanità che, come suggerisce Francesco, si ispiri al poliedro, figura geometrica ospitale, dove la varietà si celebra nella coesione e nella festa.
Un cuore aperto al mondo intero… cantieri della libertà e fantasia
Riabbassandomi di quota, per tornare a scenari più consueti e pastorali, accenno a due cantieri nei quali possiamo come Chiesa e come Ac sperimentarci con libertà e fantasia. Mi chiedo, perché le tanto decantate Unità pastorali, aborrite da una buona fetta di pastoralisti e di ecclesiologi, e guardate con sospetto e insofferenza da un discreto numero di laici e di pastori, nonostante l’insistenza organizzativa e giuridica dei vescovi, non possano essere concepite come grembi fraterni e generativi, cantieri di missionarietà? Perché debbono essere derubricate a operazioni di ingegneria pastorale che mortifica le bellezze delle differenti identità locali, riducendole alla sterilità? Chi l’ha detto che una scelta dettata dal motivo tecnico della decurtazione del numero dei presbiteri non possa essere trasformata in una alleanza dove nulla si cancella, ma tutt’al più ci si libera da zavorra inutile? Coalizzandosi, procedendo collegialmente e sinodalmente, integrando le forze, sperimentando… possiamo negare che i frutti non arrivino? Ne siamo proprio sicuri?
In Ac la politica delle alleanze
Finisco con un ultimo squarcio su una modalità missionaria a tutto tondo, che va dal pastorale, al culturale, al sociale, all’ambientale, all’economico al politico. L’Azione cattolica sta sposando, con sempre maggior generosità e sicurezza, la politica delle alleanze, relazionandosi e co-progettando con i mille soggetti che popolano i territori. Ovviamente rimane fedele alla sua indole ecclesiale e formativa. Lungi da noi volontà manipolatorie e strumentali. Ci anima l’esclusivo desiderio di lavorare per il bene e di essere latori di un annuncio generativo di storia di salvezza. Dal Bilancio di sostenibilità del 2022, on line e scaricabile dal sito dell’Ac, segnaliamo una delle modalità più vivaci di interazione: «La campagna “Chiudiamo la forbice: dalle diseguaglianze al bene comune, una sola famiglia umana” pone questo tema all’attenzione di tutti, declinandolo in tre ambiti: produzione e consumo del cibo, pace e conflitti, mobilità umana nel quadro delle nuove sfide sociali e climatiche». Sempre con spirito di verità, senza pretendere nessun applauso, confermiamo tale indirizzo ricordando un progetto in atto partito il 3 marzo, facente parte di una alleanza più larga. Eccolo: «#abbraccioperlapace, Campagna di mobilitazione per promuovere l’apertura di tavoli di dialogo tra le comunità ucraine e russe presenti in Italia, arginando e prevenendo l’odio che potrebbe divampare tra i due popoli fratelli in conseguenza dell’aggressione Russa all’Ucraina». Impossibile allora per una autentica fraternità che essa si ripieghi su sé stessa, ingobbita, perdendo tempo a osservarsi l’ombelico. Alla fraternità appartiene una verità e un fascino che la spingono inesorabilmente e potentemente a diffondersi, a svilupparsi, a cercare modalità infinite per esprimersi. Essa possiede un cuore universale.
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