La Storia non insegna, l’ho già detto e lo ripeto ancora oggi. Non insegna perché altrimenti non ci troveremmo a ricordare un anniversario di sangue: un anno dall’invasione russa dell’Ucraina. Non insegna che un conflitto armato lascia sempre dietro di sé dolori e rancori, distruzione e morte. Sia chiaro, mai come per questo conflitto, è certo che c’è un aggredito e un aggressore. Un aggredito: l’Ucraina. Un aggressore: la Russia di Vladimir Putin. Eppure, anche per questa guerra, la storia non insegna. Altrimenti la politica non avrebbe fallito nell’evitarla e non continuerebbe a fallire nel cercare ogni via diplomatica possibile per farla cessare. Le cancellerie del mondo hanno fallito, le istituzioni internazionali hanno fallito. Falliamo tutti noi nel pensare che alle armi si possa rispondere solo con altre armi, sempre più potenti, sempre più distruttive.
Si ha la sensazione triste che neanche lo spettro dell’apocalisse nucleare possa portare i contendenti e i loro alleati al necessario e credo ineludibile tavolo delle trattive. Del resto, viviamo in un Paese in cui la Costituzione all’art. 11 ripudia la guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» e ciò nonostante continua ad ospitare sul suolo nazionale ordigni nucleari pronti all’uso.
La storia non insegna, perché abbiamo troppo rapidamente dimenticato ciò che sono stati gli eccidi, le stragi, le violenze, delle guerre mondiali così come delle centinaia di conflitti che anche in questi ultimi decenni non hanno mai smesso di insanguinare pezzi di mondo. Abbiamo lasciato ai mercanti di morte la possibilità di prosperare, tralasciando di agire tempestivamente sulle ragioni o sui torti che stanno all’origine di ogni conflitto. Dimenticando che prima o poi i conti con la Storia li faremo tutti. Non solo gli ucraini aggrediti e i russi aggressori.
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