Le norme sull’attacco ai patrimoni mafiosi e sul riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie hanno compiuto, in questo 2023, rispettivamente 41 e 27 anni. Un percorso lungo, fatto di accelerazioni e rallentamenti, criticità e punti di forza, ma che, innegabilmente, ha segnato e segna una delle punte più avanzate dell’azione di contrasto dello Stato alle organizzazioni mafiose. Una storia davvero rivoluzionaria, che muove i suoi primi passi grazie alla lucidità e alla lungimiranza di Pio La Torre e poi, 14 anni più tardi, grazie a più di un milione di cittadini italiani che, aderendo alla campagna promossa da Libera, sostennero con la loro firma il disegno di legge sul riutilizzo sociale dei beni confiscati, oggi legge n.109 del 7 marzo 1996.
No ad un uso privatistico o alla vendita dei beni confiscati
Partendo da questi presupposti, Libera ha promosso lo scorso 24 novembre a Roma presso la nuova sede di via Stamira 5/7, un appuntamento nazionale con la partecipazione di associazioni – tra queste l’Azione cattolica, tra le prime realtà ad aderire a Libera, presente con il suo presidente nazionale, Giuseppe Notarstefano, e il direttore dell’Istituto “Vittorio Bachelet”, Agatino Lanzafame -, soggetti gestori dei beni e cittadinanza per fare il punto sul tema dei beni confiscati e del loro riutilizzo pubblico e sociale.Per Libera: «L’indiscusso valore della legge, e delle tante buone pratiche di riutilizzo sociale dei beni sottratti alle mafie, divenute esempio all’estero ed osservate con attenzione come spunto dal legislatore europeo, è oggi messo in discussione: da un approccio sempre più privatistico al tema del riutilizzo dei beni confiscati; dall’introduzione sempre più frequente nel dibattito pubblico del tema della vendita e della rimodulazione delle misure di prevenzione; dalla banalizzazione delle criticità che affliggono la materia».
Preoccupa un’agenda politica che non contempla la lotta alle mafie
Siamo davanti ad una delle conseguenze di quella tendenza alla “normalizzazione”, più volte denunciata da Libera, che ha lasciato fuori il tema della lotta alle mafie dall’agenda politica, riducendo mafie e corruzione a uno dei problemi marginali del Paese.La stessa decisione del Governo di cancellare con un tratto di penna i 300 milioni di euro previsti dal PNRR per la rifunzionalizzazione e la valorizzazione dei beni confiscati è l’ennesima evidente dimostrazione di tutto questo. E su questo punto Libera esprime tutta la sua preoccupazione.
L’indagine “Raccontiamo il bene”: il paese migliore
Oggi sono oltre 1000 le realtà sociali che in tutta Italia, ogni giorno, con coraggio e generosità, trasformano luoghi che erano il simbolo del dominio criminale e mafioso sul territorio in luoghi in grado di raccontare una storia altra, un modello diverso di società, di comunità, di economia e di sviluppo. L’indagine Raccontiamo il bene, che Libera ha lanciato nel gennaio 2023, ha restituito anche elementi di sostenibilità economica e sociale della filiera della confisca e del riutilizzo.
Un modello sul piano europeo e internazionale
Per Libera, bisogna essere fieri e orgogliosi del lavoro compiuto in questi anni. Un lavoro che ha visto impegnati, ciascuno per la propria parte e con le proprie responsabilità e competenze, Magistratura e Forze Armate e di Polizia, Associazioni, Cooperative, Sindacati, realtà legate alla Chiesa, Istituzioni ed Enti locali. Tutti sono riusciti a trasformare questi beni da beni esclusivi a beni di comunità: scuole, centri di aggregazione, esperienze produttive, luoghi di accoglienza e di cura, senza dimenticare le significative esperienze legate alle aziende confiscate e rimaste sul mercato grazie all’impegno delle cooperative di lavoro. Insomma, un enorme lavoro plurale che ha rafforzato il tessuto sociale e che tiene unite le relazioni di una comunità, facendo da modello anche sul piano europeo e internazionale. Un modello che oggi va tutelato e rilanciato.
Per una buona politica dei beni confiscati
Ecco Le proposte di Libera (scarica il pdf) ribadite nel corso dell’appuntamento di Roma e che l’Azione cattolica sostiene. In sintesi:
Chiediamo alle forze politiche del nostro Paese: che il Codice Antimafia sia tutelato e attuato in tutte le sue positive innovazioni, quale strumento efficace di contrasto patrimoniale alle mafie. È fondamentale che diventi effettiva l’estensione ai corrotti delle norme su sequestri e confische previste per chi appartiene alle organizzazioni mafiose, assicurando così la piena equiparazione della confisca e del riutilizzo dei beni tolti ai corrotti e alla criminalità economica e finanziaria;
Chiediamo agli uffici giudiziari coinvolti: di prediligere il riutilizzo in fase di sequestro, così come già previsto dal Codice Antimafia, all’articolo 40 comma 3 ter;
Chiediamo al legislatore nazionale, alle istituzioni e al mondo della magistratura: che venga rafforzato il principio di priorità del riutilizzo sociale del bene confiscato, vero strumento del principio risarcitorio contro la violenza e il controllo mafioso;
Chiediamo all’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (ANBSC): che, nei casi di assenza di manifestazione di interesse da parte degli enti ad acquisire i beni immobili nel proprio patrimonio, si percorra ogni possibile soluzione, anche coinvolgendo direttamente il Terzo Settore e la cooperazione, per evitare la destinazione alla vendita, perché questa resti davvero sempre l’ultima ratio;
Chiediamo al legislatore nazionale: che, all’interno del Fondo Unico di Giustizia (FUG), si possano agevolmente individuare le risorse necessarie per soddisfare i creditori riconosciuti quali terzi in buona fede ed evitare così che, in attesa delle necessarie verifiche dei crediti, centinaia di beni immobili vengano accantonati e tenuti inutilizzati; che i fondi del FUG si possano utilizzare anche per la restituzione per equivalente dei beni nei casi di revoca della confisca, per evitare che le esperienze sociali si interrompano, come pure accaduto in alcuni casi;
Chiediamo agli enti locali: di sostenere i soggetti gestori in ogni fase dell’esperienza di riutilizzo, non solo attraverso l’impiego di risorse finanziarie, ma anche con la gestione delle pratiche amministrative più complesse, ritenendosi così coinvolti in partenariati sul riutilizzo sociale dei beni confiscati che non si esauriscano una volta terminato l’iter iniziale di assegnazione; che adempiano all’obbligo di pubblicazione degli elenchi dei beni trasferiti al loro patrimonio nella sezione Amministrazione Trasparente del proprio sito istituzionale, così come stabilito all’articolo 48 del Codice Antimafia.
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