Nel cuore di tenebra e terrore del Reich molti hanno lavorato per un’opera di salvezza, irrorando il loro amore alla luce della parola di Dio, resistendo alle lusinghe del potere e restando fedeli alla propria coscienza. Francesco Comina in La lama e la croce. Storie di cattolici che si opposero a Hitler (Lev) presenta alcuni profili – uomini, donne, ragazzi – che ebbero l’ardire di ribellarsi al nazismo a costo della vita. Segno nel Mondo ha intervistato l’autore.
«Fare memoria, tramandare storie simili, significa affermare che queste vite non sono state spezzate invano. È una memoria viva, feconda il presente. Sognavano un’Europa unita nella pace e nel diritto; mentre la Germania sprofondava in una spirale di violenza, accecata dall’abbaglio nazionalista di un’ideologia luciferina», esordisce Comina.
A metà fra il reportage giornalistico e il resoconto memorialistico, il racconto riposa su lettere, documenti e testimonianze degli eredi. «Ho visitato il Museo della Resistenza di Berlino. Sorge nella sede della caserma dove venne ordito il fallito attentato a Hitler (luglio 1944). È una miniera di volti, voci, biografie. Sono rimasto stupito dall’ampiezza della mobilitazione del popolo tedesco: evidenza di come la società civile fosse attraversata in maniera carsica da movimenti di resistenza al nazionalsocialismo imperante».
Morirono per amore
Alcune vicende sono uscite allo scoperto, come quelle di Sophie School e i membri della Weisse rose che cercavano di risvegliare le coscienze intorpidite dalla propaganda hitleriana o di Franz Jägerstätter, contadino austriaco che in sofferta solitudine rifiutò di arruolarsi sotto le bandiere naziste, la cui memoria è poeticamente suggellata dal film di Malick, La vita nascosta.
Altre, invece, sono rimaste sepolte negli anfratti dell’oblio. Si pensi ai ragazzi del circolo Klingenbeck, che distribuivano volantini, girando con il pennello, la notte, per scrivere Freiheit e Victory sui muri dei palazzi di Monaco. O a Eva-Maria Buch e Maria Terwiel, attive nella resistenza e appartenenti alla Rote kapelle, salite sul patibolo avendo sulle labbra il sapore delle pagine evangeliche delle Beatitudini.
«Il filo comune che lega le storie è la coscienza: la fedeltà alla vita, alla libertà, all’etica che palpita nel profondo di queste persone. Davanti all’insorgere e all’incedere del male radicale, imboccarono la strada del bene e della giustizia fino a mettere a repentaglio la propria vita. Non sono state scelte scontate né semplici. Erano padri di famiglia, donne e giovani che amavano vivere; non invasati in cerca di martirio. Hanno passato momenti di timore, tensione e tormento», spiega lo scrittore.
Josef Mayr-Nusser
Tra i protagonisti citati, spicca la figura di Josef Mayr-Nusser, presidente dei giovani dell’Azione cattolica di Bolzano.
«È stato un gigante: ha avuto la forza profetica di annunciare la spietatezza del regime hitleriano, i rischi dell’idolatria al potere. Una denuncia sistematica – appelli, scritti, conferenze – rivolta anche alle anime addormentate di quei pastori della Chiesa che non capirono la posta in gioco. Dopo l’occupazione tedesca dell’Italia, venne invitato a ripetere il giuramento a Hitler. Lui inalberò un risoluto rifiuto, raggelando persino gli amici, spaventati di sapere orfano il figlioletto Albert e vedova la moglie Hildegard: “Se nessuno avrà mai il coraggio di opporsi, il nazionalsocialismo non finirà mai”. Da lì inizia la tragedia: il carcere, il processo, la deportazione a Dachau; dove non arriverà mai, colpito prima dalla malattia. La sua irriducibile lucidità nel giudicare il tempo difficile abitato, unita all’obbedienza alla propria coscienza, rimane un lascito valido per ogni epoca».
Fede integerrima e coraggio indomito provarono a frenare l’aberrazione totalitaria, dunque. Tuttavia, il Reich era disseminato di delatori e spie, disposti a tradire chiunque per ingraziarsi la benevolenza del partito. Così, i dissidenti caddero nelle maglie sempre più strette della Gestapo. Furono arrestati, imprigionati, condannati. Il tonfo della lama decapitò barbaramente le loro esistenze.
La possibilità del bene
«Quegli ostinati oppositori facevano paura al regime che allora sembrava onnipotente. Potevano essere imitati, dentro e fuori le chiese: erano un pericolo. Bisognava tacitare l’esempio, frantumare l’etica del bene. I nazisti usarono la ghigliottina per recidere le teste pensanti del paese. Era un monito: simboleggiava l’urgenza di stroncare la libertà di pensiero».
Di fronte al lugubre spettacolo del male, i testimoni raccontati nel libro rappresentarono la possibilità del bene: non cedettero, prodigandosi affinché il proprio popolo potesse contrastare la dittatura e conquistare la democrazia. Davanti alla fine, affondarono la penna nei ricordi con cura e senza rancore, scrivendo agli affetti più cari lettere struggenti. Nell’ora più buia e drammatica, si affidarono alla preghiera, alla parola che salva, il Vangelo. Novità perenne, «vissuta anche nelle pieghe più ributtanti della Storia». Morirono per amore.
*l’articolo Morirono per amore è stato pubblicato nel numero 2/2024 di Segno nel mondo, qui il pdf originale
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